Sab. Giu 21st, 2025

Fanciulla di Atene, ci dobbiam separare

Ridammi, ti prego, oh, ridammi il mio cuore!

Oppure, visto che ormai ha lasciato il mio corpo,

Tienilo e il resto prenditi pure!

Senti il mio dolore ora che parto,

Zoë mou, sas agapò.

Per quelle tue trecce liberate

Da tutti i venti egei corteggiate;

Per quelle tue palpebre frangiate di nero,

Bacio le tue soffici e accese guance in fiore;

Per gli occhi selvatici come il capriolo,

Zoë mou, sas agapò. /// Zoi mou, s’agapò.

Per quel labbro che vorrei assaggiare

E i tuoi fianchi che vorrei serrare;

Per tutti i fiori colti e ciò che esprime un fiore,

Che le parole non sanno dir così bene;

Per l’amore che alterna la gioia e il dolore,

Zoë mou, sas agapò. /// Zoi mou, s’agapò.

Fanciulla di Atene! Sono partito ormai:

Pensami oh dolce, ora che sola sarai!

E anche se a Costantinopoli devo andare,

Atene ha la mia anima e il mio cuore;

Potrò mai smetter di amarti? No!

Zoë mou, sas agapò. /// Zoi mou, s’agapò.

La poesia “ Fanciulla di Atene ci dobbiamo separare” è stata composta dal grande poeta  inglese

George Byron, romantico, dandy, libertino e viaggiatore.

Nato il 22 gennaio 1788 a Londra, ebbe una vita  movimentata e piena di eccessi.

Come era costume dell’epoca, nel 1809 iniziò i suoi viaggi , che descrisse nel suo poema

Childe Harold’s Pilgrimage, riscuotendo enorme successo soprattutto nei salotti londinesi.

Il giovane Aroldo, personificazione dello stesso poeta, è sprezzante e misantropo  e i versi evocano luoghi esotici e licenziose avventure.

Byron, spinto dalla fama, iniziò a comporre novelle orientali in versi, chiamate” Racconti turchi”.

I suoi scritti gli meritarono un posto nel gran mondo ma presto diede scandalo per i suoi comportamenti eccentrici. Per la sua ormai conclamata bisessualità  si diceva di lui che era  “greco nella sua natura intellettuale ed erotica. Inglese per nascita ma ateniese nel cuore”.

Ormai inviso all’aristocrazia inglese, nel 1816 lasciò definitivamente l’Inghilterra.

Soggiornò a lungo anche in Italia (1816)  di cui amava i paesaggi, le atmosfere, la cultura.

Nello stesso tempo però  ne colse  la grande fragilità, quella di  un Paese  schiacciato  dalla tradizione e incapace di rinnovarsi.

Con tutti i suoi peccati, devo dire/ che l’Italia mi piace/vedere il sole splendere ogni giorno,/ e le viti non piantate su un muro/ ma abbarbicate ai tralicci, fondi/ d’opera dove la gente accorre/ quando una danza chiude il primo atto,/ tra vigne rosseggianti come in Francia/

Romantico e appassionato, tra il 1820/21 si affiliò alla Carboneria , ma dopo il fallimento dei moti insurrezionali, fuggì a Pisa  per andare poi ad abitare a Genova.

Nel 1823 aderì all’associazione londinese filoellenica per sostenere la guerra d’indipendenza greca dall’Impero Ottomano. Dopo qualche mese si trasferì a Missolungi  dove morì il 19 aprile del 1824 forse per febbri reumatiche. Ancor oggi, specie nei luoghi che lo videro partecipe alla lotta per l’Indipendenza greca, il suo nome è ricordato attraverso targhe e statue commemorative.

Il suo grande amore per la Grecia egli stesso lo ha immortalato nel 1810, durante un suo primo viaggio, incidendo il suo nome su una  una colonna dorica del magnifico tempio di Poseidon, a Capo Sunio.

Qui, in un mio recente viaggio ad Atene, con  visita al tempio di Poseidone che svetta immortale  su un’altura da cui lo sguardo si apre su un mare cristallino, mi sono commossa nello scorgere il nome del grande poeta, immortalato in un luogo così sacro. 

Da questa punta meridionale dell’Attica, poco  distante da Atene, si respira  bellezza e storia. E soprattutto il mito.

Si narra infatti che proprio qui il re Egeo, sovrano di Atene, fosse in attesa, scrutando il mare, del ritorno del figlio Teseo, recatosi a Creta per uccidere il terribile Minotauro. Ingannato dal colore della vela nera,  pensò che il figlio fosse morto e per la disperazione si gettò in mare, che da allora prese il suo nome.

Capo Sunio compare anche  in un altro poemetto di Byron: “The Isles  of Greece”:

Place me on Sunium’s marbled  steep.

Where nothing, save the waves and  I.

My hear our mutual murmurs sweep;

There, swan-like , let me sing and die:

A land of slaves shall ne’er be mine,

Dash down yon cup of Samian wine!

Mettimi sul ripido marmoreo di Sumio.

Dove niente, salvo le onde ed io.

Il mio udire i nostri reciproci mormorii spaziare;

Lì, come nuotando, lasciami  cantare e morire:

Una terra di schiavi non sarà mai mia,

versa giù quella coppa di vino di Samia!

Voglio terminare questo mio articolo con un aforisma del grande poeta che fece della sua vita  un capolavoro:

The great object of life is sensation- to feel that we exist , even though in pain.

(ll grande oggetto della vita è la sensazione- sentire che esistiamo, anche se nel dolore.)

Anna Bruna Gigliotti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *