Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?
Significa chiedere scusa, chiedere continuamente scusa
agli alberi bruciati, agli uccelli senza nidi, alle case schiacciate,
alle lunghe crepe sul fianco delle strade,
ai bambini pallidi, prima e dopo la morte.
( 30 ottobre 2023)
Questi versi sono di Hind Joudah, poetessa palestinese nata nel 1983 in un campo profughi a Gaza. Ha pubblicato due sillogi poetiche dal titolo” Qualcuno se ne va sempre” e “ Niente zucchero in città”.
Niente zucchero in città!
Vorrei fare una torta, ma non c’è zucchero in città
Niente sorrisi traboccanti dai volti che passano
Niente balconi con vista sui sogni,
e le finestre, che dalle passate guerre non sono mai tornate al loro posto!
(9 novembre 2023)
La poesia diventa un vero atto di resistenza, ma soprattutto di condanna di fronte a quella carneficina di inimmaginabile portata che si sta consumando nella striscia di Gaza.
Ciao mondo
sono lì,
intendo qui
sì proprio qui a Gaza!
Sotto questa massa grigia.
Un istante fa, urlavo
ma l’ultimo missile
mi ha fatto volare da te
per dirti ciò che non sei in grado di comprendere!
(3 dicembre 2023)
Una poesia intrisa di dolore e resilienza all’orrore
Vestiti lavati al mare
quel mare che ancora conserva il suo colore blu,
in una sorprendente complicità di vita!
Vestiti asciugati da un sole stanco,
un sole che è divenuto pallido con la scomparsa del verde!
A Gaza ora, il grigio è celebrato come l’eroe,
nelle infinite immagini catturate
di case che cadono sopra corpi.
[…]
Ti chiedi dove sia finita la gente?
Poi sei sorpreso da una macchia di sangue, un piede, una gamba, o
Forse cinque dita che sono riuscite a sopravvivere!
Ora conosci le risposte alle domande,
ma continui a chiederle!
(20 dicembre 2023)
In una sua recente intervista Hind Joundah così si è espressa a proposito della Poesia:
“Scrivere è quello che so fare meglio e amo. Scrivere poesie in guerra per me significa dolore e speranza insieme. E’ un tentativo di sfuggire alle profonde fratture dell’anima. E forse scrivere poesie è un’ancora di salvezza per non soffocare in mezzo alla crudeltà che ferisce tutto ciò che è umano e fragile.Dentro e intorno a me. A partire dalla perdita di vite umane e dalla perdita di diritti”
La sua voce in versi è oggi presente, insieme a quella di altri poeti nel volume “ Il loro grido è la mia voce” di Fazi Editore. Una testimonianza importante degli ultimi terribili avvenimenti.
Ed ecco la voce di Haidar Al Ghazali:
La bambina il cui padre è stato ucciso
Mentre portava un sacco di farina
Sulla schiena
Continuerà a gustare
Il sangue di suo padre
In ogni pane
(29 febbraio 2024)
E ancora:
Ti hanno uccisa come si uccidono le farfalle,
e l’alba ha pregato per te,
poiché da una fossetta sulla tua guancia sorge il giorno.
Ti hanno uccisa, affinché l’aurora non torni mai più,
affinché restiamo al buio, senza vedere.
Hanno detto che minacciavi il paese
con una cintura esplosiva in vita.
Solo io,
sapevo
quanto amavi
le cinture di rose.
(26 agosto2024)
Ma un poeta non vorrebbe esserlo in tempo di guerra…in questo tempo sospeso tra orrore e attesa ci si vergogna di un posto al sicuro.
A tal proposito così scrive nei suoi versi Hind Joudah:
Cosa significa essere al sicuro in tempo di guerra? Significa vergognarsi,
del tuo sorriso,
del tuo calore,
dei tuoi vestiti puliti, delle tue ore di noia,
del tuo sbadiglio,
della tua tazza di caffè,
del tuo sonno tranquillo,
dei tuoi cari ancora vivi, della tua sazietà,
dell’acqua disponibile, dell’acqua pulita,
della possibilità di fare una doccia,
e del caso che ti ha lasciato ancora in vita!
Mio Dio,
non voglio essere poeta in tempo di guerra
Voglio chiudere questo mio articolo, dedicato ad alcuni poeti palestinesi, con l’ immagine potentissima di una madre. I versi sono di NI’ma Hassan:
Una madre a Gaza non dorme…
Ascolta il buio, ne controlla i margini, filtra i suoni uno ad uno
per scegliere una storia che le si addica,
per cullare i suoi bambini
E dopo che tutti si sono addormentati,
si erge come uno scudo di fronte alla morte
Anna Bruna Gigliotti