Gio. Mar 28th, 2024

Estirpiamo cacicchi e capibastone”. Quattro parole. Queste quattro parole del discorso di Elly Schlein alla Assemblea nazionale del PD racchiudono il senso del programma impegnativo della neosegretaria. Ma anche il mandato, forse più profondo, degli elettori delle primarie che, consegnando a lei la maggioranza, hanno ribaltato il voto degli iscritti.

Molti, in questi giorni e in queste settimane, hanno sottolineato la presenza, a supporto di Schlein, di importanti esponenti, dirigenti di vertice, del Partito democratico (da Franceschini a Boccia). E allora si tratta forse di interpretare i due sostantivi “cacicchi”, “capibastone”, in modo più preciso. Perché se è vero, come è vero, che i big nazionali erano equamente divisi tra Bonaccini e Schlein, lo stesso non può dirsi per la fitta schiera degli amministratori locali. I tre presidenti di Regione del centrosinistra (il quarto è proprio Bonaccini) con Bonaccini; i Sindaci di quasi tutti i capoluoghi di Regione e di Provincia del PD anch’essi con Bonaccini. Questo è oggi il vero apparato. Il PD, infatti, ha assunto da tempo una configurazione diversa dai partiti da cui proviene. Nei DS e nella Margherita era ancora viva la tradizione, rispettivamente, del PCI e della DC, per cui le cariche di partito erano sovraordinate rispetto agli eletti nei diversi consessi a livello amministrativo. Nel PD, in misura crescente in questi quindici anni, gli amministratori locali hanno esteso la propria area di influenza. Trasformando, di fatto, il partito in una propria dépendance; eleggendo segretari utili a confermare, meglio: a certificare, decisioni prese altrove (in Giunta o in Consiglio). Il PD è diventato un arcipelago, forse addirittura una costellazione di partiti locali, dominati da “cacicchi” e “capibastone”, per usare i termini utilizzati da Schlein. Un partito delle istituzioni (locali), che gli elettori hanno trovato insistentemente al Governo, a livello nazionale, nonostante ripetute sconfitte elettorali. Elly Schlein sa bene di trovarsi di fronte a un problema complesso. Se non vuole perdere la spinta, lo slancio offertole dal popolo delle primarie dovrà lanciare segnali forti. Molto più facile sarebbe, per lei, lisciare il pelo ai cacicchi e ai capibastone, per i quali la devozione al leader nazionale di turno è un rito. Un rito utile, lo scotto da pagare per mantenere feudi e zone franche a livello locale. Ma l’immobilismo, il gattopardismo, sarebbe la pietra tombale per Schlein, l’ennesima delusione per il sempre meno speranzoso (e sempre meno numeroso) popolo del centrosinistra. Elly Schlein, dunque, diversamente dai segretari che l’hanno preceduta, dovrà studiare modalità nuove per mantenere vivo il rapporto con il popolo che l’ha votata e, di conseguenza, limitare il rischio di essere fagocitata dalle dinamiche usuali e usurate del proprio partito, soprattutto a livello periferico. Nuove modalità di consultazione? Nuovi strumenti di partecipazione? Ancora presto per dirlo, ma senza dubbio questa è la sfida.

Ciò che appare evidente (dalle prime analisi dei flussi alle primarie, ma anche dai primi sondaggi sulle intenzioni di voto) è un consenso che si allarga oltre i confini del PD. Sia verso il centro, sia verso sinistra. Se non è il partito a vocazione maggioritaria (che già ai tempi di Veltroni apparteneva al campo delle illusioni), probabilmente è un partito con maggiore capacità di attrazione, una forza centripeta, un polo strutturalmente plurale. In cui gli elementi di comunanza, tanto tra gli aderenti, quanto tra gli elettori, sono pochi (rispetto ai partiti del Novecento), ma marcati (assai più che  nella politica di questi ultimi anni). Lo dice, ancora una volta, Schlein stessa, quando afferma che se la destra ha vinto poiché è stata, ha fatto, la destra, tocca al PD essere, fare la sinistra. Le categorie attorno a cui fare ruotare questa identità sembrano, al momento: i diritti, l’ecologia, il femminismo. L’orizzonte temporale per misurare la capacità di declinare, con proposte concrete e mirate, queste categorie, è con tutta evidenza l’anno (poco più di un anno) che ci separa dalle elezioni europee. Poco più di dodici mesi per rimotivare gli elettori del proprio campo, in primo luogo, ma soprattutto coloro che alle urne non si recano più. Perché l’astensionismo ha colpito ferocemente la sinistra e l’ha relegata, al momento, e non sappiamo per quanto, all’opposizione.

Alessandro Porcelluzzi

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