Sab. Lug 27th, 2024

Il caso Moratti è emblematico. Il punto non è che qualcuno passi da uno schieramento all’altro. Ciò è fisiologico, ed è anzi auspicabile, specie quando in un territorio per troppo tempo non c’è stata partita.

Che per vincere, dopo aver perso a lungo, sia necessario inglobare anche pezzi dell’establishment avversario, è lapalissiano. Dunque se Letizia Moratti ha, legittimamente, maturato un giudizio critico sul centrodestra lombardo, di cui è stata esponente di spicco, ponti d’oro per lei, come militante.

Il punto è invece individuarla come leader, come candidata presidente (o come li chiama la stampa: governatori): appena convertita, la si fa papessa. Sappiamo troppo bene, e da troppo tempo, quanto sciagurata sia stata la scelta di modificare il sistema di elezione degli organi di governo regionale. Quante disgrazie ha portato con sé, in termini di protagonismo mediatico e di esibizionismo istituzionale, l’elezione diretta dei presidenti di Regione. Assieme ai Sindaci delle grandi città (Roma, Torino, Napoli, Milano, Bologna ecc) i governatori sono oggi, e da anni, attori primari della scena pubblica.

E dunque scegliere un candidato presidente di Regione significa imprimere una torsione, invece che un’altra, alla scena politica del Paese. Ecco, qui mi chiedo: quale torsione imprime Letizia Moratti. Che vinca o meno, quale valore aggiunto porta al centrosinistra italiano?

Perché, se non si riconosce più nel centrodestra, il suo bagaglio di e per il centrosinistra ha poche ore, pochi giorni di vita. Francamente del padre partigiano e di San Patrignano, col dovuto rispetto, non ci facciamo granché: non dicono nulla di economia, di sanità, di collocazione internazionale, di lavoro, ecc. ecc.

Nastrini e lustrini, cornice, ma manca il quadro. Anche il giochino retorico “Moratti no e Conte sì?” lascia il tempo che trova. L’uno non sostiene l’altro perché sono modelli di subalternità entrambi, entrambi sbagliati (e a naso: falliti o fallimentari entrambi). Se una parte politica, oltre ad essere in crisi di consensi e di contenuti riconoscibili, abdica anche al proprio ruolo nell’offrire una classe dirigente propria, allora tutto è perduto.

Alessandro Porcelluzzi

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