Mar. Ott 8th, 2024

Arrivati a questo punto, dobbiamo riconoscere di essere stati sconfitti. Due episodi di cronaca di questi giorni ne sono la rappresentazione plastica.

Mi riferisco in primo luogo al video che ha fatto il giro del web: il professore universitario umilia, rivolgendosi a lei in dialetto, una studentessa del sesto anno di medicina per un grossolano errore di lei durante un esame a distanza e la madre della studentessa interviene mettendosi a tu per tu con il professore a difesa della figlia.

La seconda vicenda è quella della dodicenne Anita, cyberbullizzata (la definiscono stupida, esibizionista, disturbata), in molti casi da professori, sul sito di docenti Orizzonte scuola, per aver dichiarato di voler vedere prolungato l’anno scolastico per recuperare quanto perso durante la didattica a distanza.

Siamo stati sconfitti, dicevo, perché non siamo stati in grado di convincere di quanto scuola e presenza, università e presenza, istruzione e presenza, educazione e presenza fossero binomi indissolubili.

Siamo stati sconfitti dal terrorismo psicologico dei governatori, che hanno provato a nascondere i propri fallimenti chiudendo le scuole, e continuano a farlo oggi in nome delle varianti. Inutile snocciolare dati, inutile usare la logica, il raziocinio e svelare le contraddizioni dei Presidenti di Regione. La paura, instillata ad arte, può qualsiasi cosa.

Siamo stati sconfitti dalla inesistenza e inconsistenza di organizzazioni di categoria capaci di riflettere, elaborare, organizzare: sindacati muti o timidi o incapaci. Si prenda il caso della Puglia. Il Presidente della Regione Emiliano e l’assessore alla Sanità Lopalco hanno inventato una nuova specie di didattica. La didattica su richiesta delle famiglie. I sindacati, dopo mesi di silenzio, indicono un’ora (sì, un’ora di sciopero). Ritirano lo sciopero di fronte alla promessa che la didattica a richiesta sarebbe finita. Emiliano propone nuova ordinanza: 100% di didattica a distanza per scuole di ogni ordine e grado. E usa l’accordo coi sindacati per difendere questa scelta. Di fronte allo stop del TAR, reintroduce di fatto la didattica a richiesta.

Siamo stati sconfitti perché non abbiamo saputo proporre piattaforme di rivendicazione che potessero essere condivise, comprese, accettate. A volte troppo vaghe, a volte troppo confuse. Nel tentativo di cercare una impossibile unanimità, si è evitato di prendere posizione. E quando lo si è fatto, è stato troppo tardi. Siamo arrivati all’appuntamento con le decisioni spaccati e fiaccati. Il morale delle nostre già scarse truppe era a terra.

Siamo stati sconfitti dalla barbarie di infilare webcam in momenti delicati della vita e dello sviluppo dei giovani. Chiudere la porta dell’aula, accogliere errori e fragilità, sperimentare e fare i conti con l’inatteso: tutto questo si è rovesciato nella permeabilità delle piattaforme, nella assenza di privacy e spazi vitali. Quando la tecnologia sostituisce totalmente, invece che integrare e supportare, si perde di vista l’essenziale, che non è e non sarà mai un flusso di informazioni, ma la costruzione cooperativa. Le piattaforme non aprono le aule, non le rendono più accessibili: le rendono indistinguibili dal magma indistinto in cui siamo immersi.

Siamo stati sconfitti dalla orizzontalità dei rapporti virtuali: ecco che un docente universitario può denigrare e umiliare una studentessa; ecco che una madre può prendere la parola nel mezzo di un momento solenne come un esame; ecco che docenti di scuola superiore si comportano come hater contro una dodicenne che, addirittura, chiede qualche giorno in più di lezione in presenza. È vero che i rapporti verticali sono in crisi, e non da ora. Ma i processi a distanza hanno fatto da amplificatore, da acceleratore della perdita di ogni freno. Il docente, lo studente, il genitore non sono più separati, non sono più inquadrati ciascuno nel proprio ruolo ma si trasformano in lottatori nell’arena del web. Ciascuno è hater e vittima, bullo e bullizzato a seconda del momento.

Siamo stati sconfitti. Dobbiamo prenderne atto. Elaborare e metabolizzare tutto questo. Dobbiamo bere l’amaro calice. E provare a capire se da questa dose di veleno si possa trovare un antidoto. Ricercare la “comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati”, come ha scritto un tempo Pasolini.

 

Lo faremo domani però, perché oggi è solo il giorno della sconfitta.

 

 

Alessandro Porcelluzzi

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