Mar. Ott 8th, 2024

Ho dedicato i due numeri di Giugno a “Il declino della Sinistra italiana” e a “Pregi e limiti della passione politica”.

In realtà, di quest’ultimo aspetto ho sottolineato soprattutto i limiti, e forse il limite per eccellenza: quello di continuare a dare credito a dirigenti politici incapaci (“i nostri”), pur di continuare a manifestare in società di non aver cambiato opinione e orientamento, addirittura dagli anni ’60 e ’70!

In un momento politico come questo, invece, dovrebbe essere praticato, a mio parere, il disincanto ideologico, tipico dell’elettore semplice, che di fonte all’incompetenza, alla disonestà, alla mediocrità, alle promesse non mantenute, molto semplicemente cambia il proprio voto, o smette di partecipare alle tornate elettorali.

Sta di fatto che, essendo la Sinistra, ontologicamente “appassionata”, in entrambe le sue manifestazioni (Sinistra riformista ed estrema Sinistra), i due fenomeni di cui ho scritto a Giugno non possono essere considerati come a sé stanti, ma fanno sinergia: rappresentano una crisi, o forse addirittura un crollo “al quadrato” …

… e ci impongono pertanto, se abbiamo a cuore il Paese, di cominciare a “ri-costruire”.

 

A fronte della perdita di passione e del declino della Sinistra, bisogna constatare come l’estrema Destra sia particolarmente attiva, avendo trovato una “missione” nelle periferie urbane abbandonate dalle Sinistre.

Per quanto riguarda invece la Destra moderata ed il Centro, in qualche modo eredi della maggioranza democristiana del Paese, appartengono invece, storicamente, all’esercito degli “elettori semplici”: non dichiarano stentoreamente le loro preferenze, e poi rispuntano nell’esatto momento delle elezioni, mandando regolarmente in vacca gli exit poll.

Sono composte da elettori costituzionalmente incerti?, sanno curare bene, ma in silenzio, i loro interessi?, hanno imparato per tempo quel disincanto che porta ad avere le mani libere ad ogni votazione?, rivelano ogni volta un eccesso di cautela nei confronti di possibili cambiamenti? Il fenomeno non è univoco, e rimane comunque interessante.

 

 

“Ri-costruire”, dicevo … ma come?

L’ipotesi più comoda è che ci debba pensare il Governo.

Tuttavia, anche ammesso che il Governo ci pensi, e sappia realizzare in modo adeguato, se ciò avvenisse senza, alle spalle, quella tensione morale e culturale che fa delle singole persone “un popolo”, ci troveremmo automaticamente dalla parti dell’ “assolutismo illuminato” (con tutti i rischi che comporta), non certo della democrazia.

Del governo attuale sappiamo che è una risposta alla crisi economica, affrontata inadeguatamente dai governi precedenti. Su questo siamo d’accordo tutti, o quasi, inclusi quelli che in quei governi c’erano (!), o li hanno sostenuti e votati.

Non sappiamo invece se stavolta la risposta sarà eccellente, adeguata, mediocre o insoddisfacente, anche se “i soliti appassionati”, ovvero i “militanti” delle rispettive sponde (“pro” e “contro”) hanno emesso, come sempre, verdetti che la storia, ed anche la cronaca, non possono ancora dare …

… giacché quello che abbiamo visto, finora, è un’inesauribile ed inesausta battaglia simbolica sulle migrazioni, la sicurezza, la povertà e l’Europa, in contrasto (ma similarità di modi comunicativi) con i pavoni francesi e spagnoli.

(Sì, “pavoni”, mom è un refuso: pavoni! .)

Laddove si vedono i fatti … altrove … tanto per dirne una. nel risanamento della Grecia, condotto con perizia ed equità da Tsipras, ciò è avvenuto nel momento in cui i riflettori si sono spenti su di lui e sul Paese: ed oggi la notizia non è più ghiotta, perché non è possibile trangugiarla nel contesto della rissa simbolica. Insomma, il buon Tsipras era di moda quando evocava catastrofi, ingiustizie e povertà, non lo è più dopo averle combattute con successo.

 

Ma – dicevo – non possiamo accontentarci della lotta simbolica, e neppure di qualche concreta e valida realizzazione. I processi di cambiamento sono tali solamente nel momento in cui il Paese un po’ segue e un po’ guida, e comunque partecipa democraticamente.

Mi piacerebbe parlare in proposito di “passione critica”, ovvero della passione necessaria per aderire a un progetto e sostenerlo, tuttavia accompagnandolo con la “critica” sistematica, ovvero con la capacità di ricredersi, quando la storia e la cronaca lo richiedano, perché il progetto di sta magari confutando da solo!

Ecco, vigilare senza pregiudizi favorevoli o sfavofrevoli sul Governo attuale, esercitando il potere della “critica”, ed arrivare a sostenerne con passione il progetto (solo se merita!, of course … altrimenti a casa anche loro!), sarebbe un buon modo per cominciare a “ri-costruire” …

… che in Italia non c’è bisogno delle fighettate degli anni ’80, dei cupi movimenti dei ’70, e neanche dei sopravvalutatissimi ’60 (buoni soprattutto per infilare dei signor-nessuno nelle Università o nei Media), ma c’è bisogno bisogno degli umili, volenterosi e speranzosi anni ’50, quelli dei nostri genitori usciti dalla guerra.

Se poi, proprio volete sapere il mio parere (ma proprio volete? comunque, il nostro Direttore ci invita sempre, pertinentemente, a dichiararci), confermo che non voto da anni, e che non ho votato conseguentemente neanche le forze politiche che sostengono questo Governo, e confermo parimenti che è troppo presto per emettere un giudizio, ma dissento dalla rappresentazione di Giuseppe Conte come un fantoccio etero-diretto da Salvini e da Di Maio.

Secondo me, il fenomeno è esattamente all’opposto: siccome Conte potrebbe essere un ottimo Premier, i dirigenti politici “famosi” (non solo i due sopra citati) sgomitano a più non posso, nel timore che la competenza, la pazienza, la perseveranza e l’understatement possano avere (orrore!) il sopravvento, ed indulgono conseguentemente alla rissa simbolica, per potersi pavoneggiare anch’essi come i colleghi francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e dell’Europa dell’Est.

Non sto dicendo che Conte sarà un ottimo Premier (ciò dipende anche da cosa gli consentiranno di fare), ma che potrebbe diventarlo. Del resto, considerando che l’immagine del Conte-pupazzo è stata diffusa da quel grande stratega che è Del Rio, è già una mezza garanzia che le cose siano esattamente contrarie alla stizzosa descrizione del “collega” esautorato.

 

Questo articolo del vostro cronista si chiude ricordando come la “passione critica” della gente, unita alla doti morali e caratteriali di una buona premiership, possa essere utile per “ri-costruire”. Ma ciò non basta (è condizione necessaria, ma non sifficiente): nei prossimi due numeri, parlerò, rispettivamente, della “meritocrazia” e della “competenza”, individuando all’interno di esse ragioni positive, ma anche possibili “raggiri”. La rubrica Pòlis ha infatti un filo conduttore, che è la “critica dell’ideologia”, un metodo ed uno stile di condotta ispirato alle opere più interessanti di Marx: ciò significa, in soldoni, che in presenza di verità “ovvie” (non è forse ovvio che per “ri-costruire” servano “meritocrazia” e “competenza”?), molto spesso c’è alla base un concetto non sufficientemente analizzato.

Lo vedremo nei due prossimi numeri. Parlerò invece solo di sfuggita di “onestà” e “disinteresse personale”, la cui clamorosa assenza ogni italiano conosce quanto me, e non ha bisogno di pertanto di ulteriori analisi e rivelazioni. Magari avrebbe bisogno di un’analisi storica delle cause, ma non la possiamo sensatamente richiedere a un cronista, né a una rubrica che supera raramente le 200 righe dattiloscritte.

 

Gianfranco Domizi

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