Ven. Mag 3rd, 2024

Dal finestrino del treno che lo portava ad Arles il trentacinquenne Vincent guardava il paesaggio scivolargli davanti agli occhi, e man mano che s’inoltrava verso il sud, tutti i colori aumentavano la loro luminosità. Pensava ai tempi bui di Parigi e a quelli ancora più bui in Olanda, lì il sole era raro.

 D’aspetto grossolano e rozzo, la fronte ampia, i capelli rossicci, non poteva considerarsi certo bello, ma i suoi occhi azzurri e profondi, curiosi e scrutatori come quelli di un bambino, appartenevano ad un’altra dimensione. Con questi occhi Vincent guardava il mondo e la primavera provenzale che si avvicinava. Una valigia consunta, pochi colori e un paio di tele costituivano il suo bagaglio, Theo gli aveva comprato un biglietto per Arles, era preoccupato per la salute cagionevole del fratello: <<A Parigi hai cominciato a bere, stavi diventando un alcolista, non ti riconoscevo più[…] il clima del sud ti farà bene>>. Adesso tutto solo in quel treno tremava per l’emozione di ricominciare, ancora una volta, a vivere, tanto che scambiò gli alberi di limone per ulivi: <<Caro Teo, la natura è straordinariamente bella qui, non puoi immaginare la mia emozione di fronte a quest’esplosione di colori, qui tutto cresce rigoglioso, tanto che avevo scambiato dei limoni per ulivi[…] vedrai noi faremo grandi cose!>>.

Giunto ad Arles si sistemò presso l’albergo Carrel sito in Rue Cavallerie 30. La mattina si alzava presto e andava nei campi, non tornava che dopo il tramonto. Lì da solo, con la natura, a volte senza neanche mangiare, dipingeva per interminabili ore fino a notte fonda: <<Mi occorre anche una notte stellata con dei cipressi, oppure un campo di grano maturo; abbiamo delle notti molto belle qui, e io ho una continua febbre di lavoro>> e con la forza e il vigore di una febbre creatrice s’immergeva nel giallo dei campi di grano, li squarciava, penetrava nel loro ventre e in questo delirio le sue mani riempivano di colore la tela: <<Non mi sono mai sentito così vicino a Dio>> dirà più tardi.

Il suo sogno era di riunire una comunità di artisti cui Theo avrebbe dovuto fornire il supporto economico. Una comunità di amici che vivano e lavorino insieme; così i primi di maggio affitta l’ala destra di una casa in Place Lamartine 2: è la celebre “casa gialla”, il colore del sole, della gioia di vivere e dell’amicizia. In realtà non aveva molti amici, forse l’unico fu il postino “gigante buono” Joseph Roulin, che l’artista immortalò in un celebre dipinto nelle vesti di un capitano.  

Poi Theo gli comunicò l’arrivo di Gauguin, il pittore era in ristrettezze economiche, così pensò di mandarlo a vivere col fratello ad Arles. Fu una gioia immensa per Vincent che subito si affannò nei preparativi: <<Ieri ho lavorato ad ammobiliare la casa; come mi aveva già detto il postino, i due letti, per avere qualcosa di solido, costeranno 50 franchi l’uno[…] bisognava però destreggiarsi e allora ho fatto così: ho acquistato un letto in noce e un altro in legno bianco, che sarà il mio e che più tardi dipingerò>>, i soldi erano pochi ma Vincent non se ne preoccupava mai e trovava sempre una soluzione tutta sua: <<Siccome Gauguin è cuoco, è probabile che arriveremo a farci il mangiare da soli>>. Fu il suo periodo migliore, dipinse i famosi “girasoli”, dominati dal giallo vivo e ambrato. La convivenza con Gauguin non fu felice come l’attesa per la sua venuta, questi gli insegno a bere l’assenzio e l’equilibrio già precario di Van Gogh finì per crollare, ma ciò che più lo deluse fu quell’amicizia tanto sognata che gli voltò le spalle, il suo giallo si trasformò in violenza, rabbia, solitudine, si tagliò l’orecchio ne segui il manicomio e due anni dopo la morte.

Disse a Theo prima di spirare: <<La tristezza durerà tutta la vita. Ora desidererei ritornare>>. 

Antonio Iaccio

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