Mar. Mar 19th, 2024

Cerasella, Cerasè…

dint’ ‘o tiempo d’ ‘e llimone,

mme rialaste nu schiaffone…

Cerasella, Cerasè…

mo ch’è ‘o tiempo d’ ‘e ccerase,

 tu mme vase…

Si’ limone, si’ cerasa…

sott”o sole ca te scarfa te faje doce…

Si fa friddo, si’ na mela…

 e ll’ammore, dint’ ‘o core, te se ge-e-la…

Cerasella, Cerasè…

Questi versi appartengono ad una celebre  canzone degli anni ’50, cantata da Aurelio Fierro. Parla di un amore estivo forte, ma molto conflittuale. Gli ingredienti che rendono succulento il testo sono i frutti che ci fanno pensare ai brividi amorosi. Quel dolce-amaro delle ciliegie e dei limoni. Come quei sì e no che riempiono testa e cuore di due innamorati.

La famosa canzone ha ispirato il film comico-sentimentale del 1959 dal titolo Cerasella. Film precursore dei musicarelli degli anni ’60, diretto da Raffaello Matarazzo.

I protagonisti erano un giovanissimo Mario Girotti (diventato celebre in seguito con lo pseudonimo di Terence Hill) e una bellissima Claudia Mori, appena quindicenne.

Naturalmente la location in cui fu girato era ed è tra le più romantiche e suggestive del  territorio campano: Vietri sul mare, in costiera amalfitana.

Ed è proprio ascoltando questa canzone che ho avuto l’ispirazione per scrivere un racconto breve dal titolo “Le labbra”.

In quel periodo, circa dieci anni fa, stavo iniziando un progetto letterario: una raccolta di racconti brevi dal titolo Particole.

L’idea era nata da un gioco tra amici scrittori che consisteva nello scrivere testi letterari che potessero entrare nello spazio di una cartolina postale. Ognuno avrebbe scelto una tematica come filo conduttore.

Io così ho iniziato a comporre racconti  su varie parti del corpo umano.

Particole appunto, cioè piccole parti di un corpo che, incidendo così fortemente nella vita affettiva di ognuno, assumono un valore quasi sacro.

Avevo da tempo maturato un’idea alquanto bizzarra: ci si innamora di una e una sola parte del corpo dell’altro o dell’altra con cui, per un po’ di tempo o per la vita, si condivide il cammino. Questa parte funziona da imprinting e intorno ad essa costruiamo relazioni. Essa rimarrà  in noi costantemente… il resto sarà dimenticato quasi sempre.

Poi il gioco mi ha preso la mano e, quasi senza accorgermene, ha iniziato a prendere forma una raccolta di racconti a tratti umoristici, a tratti amari, sospesi tra la dimensione del reale e quella del surreale.

Ora che si avvicina la data della prossima, ultima uscita,  prima della breve interruzione estiva, del nostro periodico quindicinale “lintelligente.it” di cui curo la rubrica Arte e Cultura, ho pensato di salutare e augurare ai nostri lettori una buona, “calda” estate con la condivisione di questo mio brevissimo racconto che parla di cerase, naturalmente.

Le labbra

Avevo lavorato sodo quell’anno.

Avevo mani gonfie di acqua e rosse di fatica.

Avevo quarant’anni suonati, una madre vecchia e dura come pietra di fiume, due gemelli brufolosi e testosteronici, uguali di colore e di odore, diversi di voce e di pancia: uno urlava e mangiava, l’altro cantava e digiunava.

Io sgobbavo per me e per Alfredo, mio marito, che da quando si era scoperto artista, passava tutto il tempo a verniciare sedie e cassapanche, tavoli e comodini e il tutto di un verde esasperante e monotono, liquido e dissolvente come l’iride dei suoi occhi persi.

Lo lasciavo fare in nome di un amore trascorso.

L’unico momento veramente mio era quando potevo lasciarmi cadere sulla seggiola posta in veranda, alla fine della giornata, con le gambe allungate all’infinito come a cercare una via di fuga; le braccia legate al petto, a stringere il seno abbondante.

Quella stagione era stata generosa.

Guardavo davanti a me i ciliegi carichi di frutti rossi in attesa d’essere colti dalle mani svelte di Vittorio, Luigi, Mario, Carlotta, Raffaella…

Insomma di tutti gli amici di sempre pronti a riempire i cesti e poi i vasetti di frutti trasformati in nera marmellata asprigna.

Ci chiamavamo scherzosamente “ruspanti” perché nella nostra campagna in cooperativa volevamo conservare il più possibile il sapore originario delle cose: nessun lifting gustativo.

Arrivò più gente del solito quella settimana, vociante e ridente: una meraviglia!

Anche Alfredo era felice. Stringeva le mani a tutti con le sue, macchiate di vernice verde.

Con Mario, Nando.

Nando era un ventenne bruno e nerboruto.

Baciava tutti con schiocchi rumorosi sulle guance: tre per ciascuno.

Cantavano i denti e la sua voce.

Profumava l’aria di sesso giovane e pronto.

“Labbra come cerase” dico a bassa voce quando toccano a me i suoi tre baci sonori.

Col suo primo cesto carico di ciliegie va verso mia madre e lo poggia per terra davanti alle sue gambe chiuse, serrate sotto la gonna nera.

“Per la nonna più bella” le dice.

Tremano un po’ le sue ginocchia di vecchia; scopre i denti radi e gli regala un sorriso di ragazza.

“Dio mio,” mi scopro a pensare, “fa’ che il prossimo non sia per me”.

Sì, è per me il secondo, ma senza parole, con un bacio muto sulla bocca.

Me lo tiro addosso, quando mi cerca sotto la gonna.

Dimentico in un colpo solo i miei quarant’anni, il mio marito verde e l’età dei miei figli.

Nascondo le mani gonfie tra i suoi capelli e poi, trovando un varco, gliele infilo nella cintola dei calzoni e le stringo intorno alle sue natiche sode e più confortanti dei miei seni dimenticati.

Fui ricordata ancora dalle sue mani per tutto il tempo della raccolta.

Colsi la vita e le ciliegie rosse dalla sua bocca e fui albero pieno per una volta ancora.

BUONA ESTATE A TUTTI!

Anna Bruna Gigliotti

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