Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Avrete di certo riconosciuto l’autore della poesia in romanesco “La ninna nanna della guerra”: il poeta Carlo Alberto Salustri, meglio conosciuto come Trilussa, anagramma del suo cognome.
Ho scelto questa poesia perché in questi tristi giorni di guerra, la sua voce risuona in maniera sferzante, a ricordarci che, ahimè, l’uomo non cambia. Le motivazioni per giustificare una guerra sono e restano sempre le stesse e a pagarne le conseguenze è sempre la gente comune.
Trilussa ha iniziato presto a scrivere versi. Nato a Roma nel 1871, a soli 16 anni , nel 1887, pubblicò il suo primo sonetto sul Rugantino, giornale diretto da Giggi Zanazzo. Una critica alla stampa dell’epoca, piena di sciocchezze.
Da allora la sua ascesa fu inarrestabile. Nel 1901 pubblicherà la sua prima favola “ La cecala e la formica”. In verità intinge spesso dal patrimonio favolistico classico, rimodernandolo però nei contenuti e rivisitandone la morale in chiave contemporanea.
Presto sarà considerato il più grande poeta in romanesco. Divenne quindi una figura nota nei circoli letterari e culturali capitolini. Lui stesso amava declamare i suoi versi nei teatri e nei vari caffè-concerto.
Tutta la sua produzione, anche quella teatrale, fu sempre improntata ad una satira politica sferzante.
Meravigliose le sue poesie dal taglio nettamente politico, presenti nella raccolta “ Lupi e agnelli”del 1919.
Vale la pena riportarne alcune.
Er Pastore e l’Agnelli
Pe’ fa’ venì l’istinto sanguinario,
er Pastorello disse: – E’ necessario
che l’Agnelli diventino Leoni
per esse forti e dichiarà la guerra
contro tutti li Lupi de la terra. –
Er motivo era giusto, e lo dimostra
che l’Agnelli risposero a l’invito;
ogni belato diventò un ruggito:
Morte a li Lupi! Via da casa nostra! –
Pe’ falla corta, in quela stessa notte,
li Lupi se n’agnedero a fa’ fotte.
Vinta che fu la guerra, er Pastorello,
doppo d’avé sonato la zampogna,
strillò co’ tutta l’anima: – Bisogna
ch’ogni Leone ridiventi Agnello
e ritorni tranquillo a casa mia
ne l’interesse de la fattoria. –
Ma quelli j’arisposero: – Stai grasso!
Oramai, caro mio, se semo accorti
d’esse animali coraggiosi e forti
e no bestiole da portasse a spasso!
Dunque sta’ attent’a te, ché d’ora in poi
li padroni der campo semo noi!
L’omo e El Lupo
Un vecchio Lupo, ner guardà le stelle,
diventò bono e se sentì er dolore
d’avé scannato tante pecorelle.
(Tutte le cose belle
fanno un effetto maggico ner core.)
E diceva fra sé: — Pe’ conto mio
sarei disposto a fa’ la vita onesta:
però bisognerà che me travesta
perché nessuno sappia chi so’ io.
Infatti puro l’Omo s’è convinto
che pe’ sta’ bene ar monno è necessaria
una certa vernice umanitaria
che copra la barbaria de l’istinto. —
E fisso in quel’idea
pijò la pelle d’un abbacchio morto
e ce se fece come una livrea:
poi, zitto zitto, entrò ner pecorume
che stava a magnà l’erba in riva ar fiume.
Mantenne la promessa: da quer giorno
fu l’amico più bono e più tranquillo
de l’agnelletti che ciaveva intorno.
Benché stasse a diggiuno
nun je storse un capello e, manco a dillo,
nun se ne mise all’anima nessuno.
Ma una brutta matina
trovò tutte le pecore scannate
e un vecchio co’ le mano insanguinate
che contrattava la carneficina.
— Eh! — disse allora — l’Omo è sempre quello:
prèdica la bontà, ma all’atto pratico
nun è che un lupo: un lupo dipromatico
che specula sur sangue de l’agnello!
L’agnello infurbito
Un Lupo che beveva in un ruscello
vidde, dall’antra parte de la riva,
l’immancabbile Agnello.
– Perché nun venghi qui? – je chiese er Lupo –
L’acqua, in quer punto, è torbida e cattiva
e un porco ce fa spesso er semicupo.
Da me, che nun ce bazzica er bestiame,
er ruscelletto è limpido e pulito… –
L’Agnello disse: – Accetterò l’invito
quanno avrò sete e tu nun avrai fame.
La sua straordinaria capacità narrativa, proprio perché in versi, risulta ancor più incisiva.
Sotto il velo della satira si celava, anche durante il Ventennio, il suo animo libero e pacifista e, come ebbe a dire lui stesso, “non fascista”.
Ironico e sagace, quando nel 1950 fu nominato senatore a vita da Luigi Einaudi, disse: “M’hanno nominato senatore a morte”. Si spense infatti pochi giorni dopo: il 21 dicembre del 1950.
Le sue favole restano eterne e parlano con un linguaggio schietto e sempre attuale. Profetico e profondamente umano.
Anna Bruna Gigliotti