Mar. Ott 8th, 2024

Potete trovare, all’interno della Rubrica Pòlis, un articolo di Alessandro Porcelluzzi dedicato all’eredità politica di Enrico Berlinguer. Possiamo considerarlo “gemello” a questo mio, dedicato invece quasi esclusivamente “alla persona”.

Interrogarsi su Berlinguer è sempre un buon esercizio per la riflessione politica (ed anche storica, essendo oramai passati oltre 30 anni). Va da sé che un ulteriore spinta, per noi commentatori, è scaturita dal tentativo di Salvini di “intestarsi” una parte dell’eredità politica …

… e se ne discute massicciamente sui Social; in buona parte, si irride alla velleitarietà del tentativo.

Ma è altrettanto evidente che i miei coetanei (60enni), e quelli ancora più vecchi, continuano ad aggirarsi “bellicosi ma mesti”, quando si toccano questi temi, perché il sentimento di sentirsi “orfani di Enrico” finisce col prevalere sull’analisi: il Segretario viene pertanto scagliato contro i mediocri contemporanei, ma al dunque si finisce per rintracciare e proporre somiglianze, o differenze, più o meno pindariche con Craxi, con Moro ed altri democristiani degli Anni Settanta. Addirittura con Almirante.

Rilevanti per i risvolti umani e per la ricostruzione degli stili politici dell’epoca. Irrilevanti, o anche fuorvianti, ai fini della ricostruzione delle azioni e delle idee. Solo qualche temerario riprende il tema cruciale del “compromesso storico”:

https://it.wikipedia.org/wiki/Compromesso_storico ;

o la “marcia dei 40.000”:

https://www.repubblica.it/economia/2010/10/07/news/marcia_quarantamila-7803729/ .

Evidentemente, al “militante” e/o “costruttore di post” non interessa quello che dovrebbe essere invece il cuore dell’analisi storico-politica: le decisioni dei leader rivelatesi “giuste” o “sbagliate”, nel succedersi degli eventi.

Se Enrico Berlinguer parla ancora a buona parte dei “cultori della materia”, è quindi per tutt’altri motivi.

La mia idea è che al netto della nostalgia per il Novecento e della polemica contro i contemporanei, Berlinguer venga citato non in quanto “politico”, ma in quanto “uomo”, in quanto “persona”, e che questa ammirazione popolare abbia finito per fondare un vero e proprio “mito laico”

Io personalmente, pur essendo stato iscritto al PCI dal 1979 al 1990 (ed essendone stato Segretario Berlinguer dal 1972 al 1984), non ho mai avuto modo di incontrarlo.

Ho incontrato due volte Napolitano … e mi è bastato.

Ma ho raccolto dei racconti di chi Berlinguer lo incontrò, magari brevemente: racconti in cui il leader viene accreditato di una grande capacità di ascolto, di apprendimento e di ri-pensamento.

Per esempio, sul Femminismo e sull’importanza della questione femminile.

Anche questi racconti, tuttavia, non sarebbero comunque sufficienti per denotare con certezza una statura morale “superiore”. Anch’io, però, come tutti (non ho mai sentito una seria opinione contraria), sono convinto che Enrico Berlinguer fosse VERAMENTE una brava persona.

Di più: un uomo dalla statura morale superiore,

Di più: un uomo amato dalla gente, a prescindere dal ruolo.

(Non altrettanto potremmo dire di Togliatti, giacché essere considerato “il Migliore” significa implicitamente che fosse soltanto il più adatto per fare qualcosa. Ma cosa? La rivoluzione? L’ingresso delle masse nella vita democratica? La realizzazione in Occidente di strategie sovietiche? https://www.tempi.it/cinquantanni-fa-moriva-togliatti-ecco-come-lo-descriveva-su-tempi-il-suo-storico-segretario-massimo-caprara/ .)

Tutto quello che sappiamo di Berlinguer-uomo non si basa su alcuna certezza. Eppure ne siamo convinti, come se l’avessimo conosciuto personalmente.

Enrico Berlinguer è diventato il “mito laico” del Novecento italiano.

Per questo motivo, vale la pena di ripercorrere le tappe di questa “creazione popolare”, procedendo a ritroso nel tempo.

1992 (ovvero otto anni dopo la morte di Berlinguer).

Molti di noi sono stati comunisti, pur senza esserlo!

E’ stato anche il mio caso: l’insofferenza verso chiese e liturgie mi aveva precedentemente spinto verso settori ultra-minoritari del Partito Socialista, e poi verso la cosiddetta Sinistra extraparlamentare (che poi entrò puntualmente in Parlamento).

Giorgio Gaber, in “Qualcuno era Comunista” fotografa perfettamente la situazione:

https://www.youtube.com/watch?v=emoFu3iejiQ .

Ma quali potevano essere i motivi per essere, più o meno convintamente, comunisti? La canzone ne fotografa di importanti e di insignificanti, di impellenti e tragicomici, in un crescendo di pathos.

E quando Gaber afferma che “qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona; qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona”, inevitabilmente scroscia l’applauso.

(Che poi, se vogliamo, Andreotti rappresenta il mito uguale e contrario: restiamo convinti che non sia stato una brava persona, anche se per molti casi controversi manca la “pistola fumante”, ed è pertanto possibile che gli siano state attribuite anche responsabilità altrui, o quantomeno condivise.

http://www.giorgiogaber.it/discografia-album/qualcuno-era-comunista-testo .)

13 Giugno 1984: Roma, Funerali di Enrico Berlinguer.

C’ERO ANCH’IO

A piedi (ovviamente), dalla Stazione Termini, verso Piazza San Giovanni. Arrivati a Viale Manzoni (ultimo tratto di una delle quattro direttrici da cui si poteva arrivare, la più ampia come sede stradale), vediamo Giorgio Almirante. Da solo. Qualche brusio, esclusivamente per evidenziarne la presenza a chi non se ne è accorto. E poi Gianni De Michelis. Stesso copione. E poi Santiago Carrillo, leader dei comunisti spagnoli, incongruentemente scortato invece da numerose guardie del corpo. Ed altri che non ricordo. E poi soprattutto la gente, in un quasi-silenzio irreale.

Ancor oggi il rispetto reciproco fra i comunisti italiani ed Almirante è un luogo tipico delle rievocazioni:

https://www.repubblica.it/dossier/cultura/enrico-berlinguer-35/2019/06/10/news/enrico_berlinguer_almirante_si_inchina_davanti_a_botteghe_oscure-228452631/ ;

https://www.secoloditalia.it/2017/06/33-anni-fece-scalpore-lomaggio-giorgio-almirante-al-nemico-berlinguer/ .

 

07 Giugno: il malore di Enrico Berlinguer, a Padova.

Per anni non ho voluto guardare quelle immagini.

Le ho viste infine, chiedendomi come altri per quale motivo nessuno dello staff abbia portato via di peso il Segretario, pur in contrasto con la sua stessa volontà di portare a termine il comizio.

In realtà, Berlinguer non aveva “delfini”. E non aveva neanche intorno a sé chi potesse credibilmente opporsi alla sua volontà.

Aveva semmai dei consiglieri, principalmente di area cattolica, o “cattocomunista”, come si diceva all’epoca; ma nessuno che avesse l’autorevolezza per tentare imprese “irrituali”, come quella di portarselo via, prendendoselo in braccio (paradossalmente riuscita a Roberto Benigni, un anno prima, per altri motivi e con altre modalità: vedi oltre).

Ecco, se dovessi farmi una domanda storico-politica OGGI, mi chiederei proprio questo:

Berlinguer era consapevole di essere politicamente solo? Aveva intravisto un rimedio o un antidoto, o aveva finalmente compreso che non c’era rimedio?

E’ una domanda importante: attraverso l’ipotetica “solitudine” di Berlinguer, potremmo leggere sia la storia antecedente del PCI, in problematica emancipazione da Mosca, sia il successivo “sfarinamento” dei suoi autoproclamati eredi, che non riusciranno a diventare né compiutamente socialdemocratici, né liberaldemocratici; “eco-marxisti”, meno che mai: https://ilmanifesto.it/james-oconnor-latipico-marxista-della-rivoluzione-ambientalista/ .

Per quanto riguarda i fatti intercorsi fra il 07 e il 13 Giugno, la storia è nota: il malore verrà riconosciuto come ictus, ma non ci sarà più nulla da fare; e Pertini porterà via la salma di Berlinguer con l’aereo presidenziale, rompendo ogni genere di protocollo: “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”.

https://www.repubblica.it/dossier/cultura/enrico-berlinguer-35/2019/06/09/news/enrico_berlinguer_pertini_lo_ha_vegliato_fino_alla_fine-228378576/ .

Più o meno un anno prima: 17 Giugno 1983.

Durante una manifestazione pre-elettorale, Roberto Benigni, non nuovo ad azioni scherzosamente sconsiderate, invece di limitarsi ad introdurre con un monologo irriverente l’intervento di Berlinguer, lo prende in braccio, e ne “offre” questa versione “sconsacrata” ai militanti.

Paradossalmente, proprio questa versione “sconsacrata”, diventerà l’inizio del “mito” (e del “culto”) popolare.

Il mito, quando non è costruito sull’irrazionale, è costruito sul sentimento: nel caso specifico: un amore della gente per Berlinguer, assolutamente ricambiato.

(Non si potrebbe dire nulla del genere per Togliatti, ossessionato per tutta la vita da strategie di potere, e che non riuscì ad amare neppure il figlio Aldo, abbandonato al suo disagio psichico e alle cure della sola madre).

E soprattutto: un amore che poteva toccare sia le corde del dovere (il comizio di Padova fu terminato in condizioni “impossibili”, perché era comunque il dovere del Segretario, ed aveva come punto centrale la correlativa richiesta di coltivare TUTTI il senso del dovere: «Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda.»), che quelle del piacere

… il piacere di una socialità istintiva, che forse non era elemento caratterizzante della psicologia di Berlinguer, ma a cui si abbandonò comunque giocosamente, dopo essere stato incalzato (in modo insolitamente cauto) da Benigni.

La foto non mente.

Il linguaggio del corpo non mente.

Berlinguer non fece, come suol dirsi, buon viso a cattivo gioco, ma si abbandonò per gioco, e forse con gioia, alla comunicazione col suo popolo e “con la gente”.

Ripensare OGGI alla sua eredità, ci dovrebbe indurre a ripercorrere scelte politiche, a volte lungimiranti, altre volte meno.

Prendere decisioni il cui esito è imprevedibile è (era) il pane di tutti i dirigenti politici di alto livello. E fatalmente sono tutti (Berlinguer incluso) accomunati dal destino di “azzeccarci” e di “non azzeccarci”.

(Non conosco leader che ci abbiano preso sempre, o quasi sempre. Ad eccezione forse di Mandela, ma paradossalmente la galera l’ha preservato da decisioni sbagliate! .)

Ma il bilancio del Berlinguer politico, e la sua eredità, sono ancora da scrivere.

Oggi abbiamo parlato delle sue doti di comunicazione e umanità, senza le quali, peraltro, tutto si ridurrebbe alla conquista del potere.

Al vincere e al perdere. Che è poi la patologia del Novecento, ulteriormente accresciutasi in tempi più recenti (dalla “discesa in campo di Berlusconi”); una patologia peraltro resa meno visibile dall’ideologia, che traveste anche le frustrazioni personali da grandi ideali.

 

 

Gianfranco Domizi

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