Mar. Ott 8th, 2024

“ Viene dal fondo della valle. Ancor prima che attraversi il fiume a guado, e che la sua ombra tagli, come un lento batter di ciglia, lo scintillante specchio d’acqua tra i banchi di terra e di rocce, sappiamo che è un uomo”.

Questo è l’incipit del breve romanzo “L’uomo seme” di Violette Ailhaud .

Più che un romanzo, è un lungo racconto , o meglio un aneddoto da cui derivarne un principio etico, diviso in paragrafi numerati che ne scandiscono la narrazione, dal momento dell’apparizione di Jean, uomo misterioso e solitario, in un villaggio orfano di uomini, fino alla sua partenza.

Ma procediamo per gradi.

Un paio di anni fa io insieme ad un gruppo di donne, coordinate da Milena Bosetti, innamorate del testo, mettemmo in scena una performance. In verità ci limitammo ad una lettura teatrale con l’intento in futuro di tradurla in uno spettacolo più articolato. Fu comunque un successo.

Un successo di pubblico ma anche per noi stesse che ci misurammo con un alter ego nascosto da cui attingere una maggiore consapevolezza della grande forza del femminino e della sorellanza.

Il testo comunque dal 5 al 10 marzo del 2019 è stato messo in scena al teatro Vascello di Roma, non da noi, ma da più degni interpreti, le Faraualla, splendido quartetto di cantanti attrici pugliesi, con adattamento e regia di Sonia Bergamasco, attrice lei stessa della performance.

La stessa Bergamasco in un’intervista, a proposito del romanzo, ha detto:

«Quando una storia ci colpisce al cuore sentiamo il bisogno di raccontarla di nuovo per ritrovare, in chi guarda e ascolta, conferma del nostro sguardo. Questo è quello che mi è successo quando ho letto L’uomo seme, testimonianza viva di un’esperienza unica e sconvolgente».
 “Questo piccolo libro racchiude per me una storia nella storia.
Alla sua prima uscita in Italia, nella traduzione di Monica Capuani, me lo regalò un’amica. Lo lessi in un soffio. Un’altra amica, poco dopo, me lo segnalò nuovamente, convinta che fosse una storia ‘per me’. Di che cosa si trattava, in effetti? 
L’uomo seme si presenta come un memoriale – e dunque una storia vera – raccontata dalla protagonista della vicenda, a molti anni di distanza dai fatti. Una storia sconvolgente, verosimile, narrata con una lingua così concreta e sapiente da farci dubitare dell’identità dell’autrice e dell’autenticità del ‘manoscritto’.

Ed proprio così. Il libro, o meglio il pretesto narrativo, lascia un po’ perplessi sulla veridicità dell’iter editoriale. Ma si sa che in letteratura espedienti del genere se ne trovano in gran quantità e ciò non inficia il valore dell’opera, anzi ne accresce il mistero.

Nella postfazione di Valeria Parrella si legge che l’autrice Violette Ailhaud, morta nel 1925, e allora ottantaquattrenne, lasciò per disposizione testamentaria questo manoscritto in eredità alla donna della sua famiglia che negli anni 50, precisamente nel 1952, avesse raggiunto la maggiore età. A lei il compito di rendere pubblica la storia. Sarà la nipote ventiquattrenne Yvelyne a prendersene cura.

La data prescelta aveva il suo motivo d’essere, perché cento anni prima, nel 1852, a Saule-Mort, una piccola comunità montana della bassa Provenza, in cui viveva la protagonista e autrice del libro, fu “falciata” dei suoi uomini.

L’insurrezione repubblicana del 1852 scoppiò contro Luigi Napoleone Bonaparte che aveva abolito la Costituzione . La caccia all’uomo contro i rivoltosi fu tremenda e nella retata finì anche Martin, l’innamorato della giovane Violette, allora diciassettenne. Molti uomini furono passati alle armi e i più deportati in Africa del Nord o alla Caienna.

In questo clima di desolazione resta prostrata una comunità di sole donne per due lunghi anni.

Un giorno però eccolo arrivare:

“I nostri corpi vuoti di donne senza marito si sono messi a risuonare in modo inconfondibile.

Le nostre braccia stanche smettono tutte insieme di ammonticchiare il fieno. Ci guardiamo e ognuna di noi ricorda il giuramento”

Ma di quale giuramento si tratta?

Il primo uomo che arriverà, sarà l’uomo di tutte, per ridare vita alla comunità. L’amore non c’entra.

Si tratta di riaffermare la vita. E così avviene.

Una storia che ha dell’incredibile.

Una storia che vede l’amore sottomesso al bene comune. Eroico e terribile.

Le donne non sono in verità prive di passione ardente, anzi. La lunga astinenza che rischiava di rendere sterili i loro ventri, amplifica il loro desiderio :

 

“Tutti i nostri sensi sono altrove, tesi verso di lui”

“ Ed ecco che l’avvicinarsi di quell’uomo travolge la nostra pazienza e la trasforma da cagna buona, accucciata ai nostri piedi, in lupa affamata”

 

Violette e Jean si sceglieranno, ma non sarà mai un amore esclusivo. Lei glielo chiede e lui acconsente.

La storia di queste donne ci rimanda alle Troiane, che subirono la stessa sorte: un simile coro tragico.

Erinni notturne, queste donne, hanno la forza del dramma della creazione.

L’uomo , di cui si conoscono solo il nome, il suo amore per la lettura, la sua tenerezza e obbedienza ad una natura ancestrale, non svela mai chi è. E’ e resterà per sempre Jean, l’uomo seme.

Scomparirà quando altri uomini arriveranno.

 

Alla fine dell’estate, una sera, Jean si è fatto la sua borsa. Ha detto: “Domani riprendo la mia strada”

Sono rimasta in silenzio. Sapevo che era il suo diritto, la sua libertà, il suo cammino.

Ho sorriso e ho approfittato del mio uomo fino all’alba, come la prima volta.

 

Anna Bruna Gigliotti

 

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