Mar. Apr 30th, 2024

Un alunno di diciassette anni spara con una pistola a pallini ad aria compressa a un professore. È successo a Bari venerdì, con una dinamica simile a quanto era accaduto circa un anno fa a Rovigo. La prima, e giusta, e comprensibile, reazione (tanto della scuola quanto dell’opinione pubblica) è sul piano della sanzione disciplinare. Che non può che essere la più severa e la più grave tra quelle previste dal nostro ordinamento. La scuola è una istituzione, e una istituzione che non sia in grado di comminare sanzioni, e sanzioni severe, nega se stessa, perché ammette di possedere un potere solo apparente, formale.

Non è però ancora sufficiente.

Occorre un sovrappiù di riflessione riguardo la vittima dell’aggressione. Il docente (e con lui: i suoi colleghi nel consiglio di classe, e i suoi colleghi in altri consigli di classe della stessa scuola) è stato oggetto di un attacco improvviso, gratuito, inaspettato. Le sue prime dichiarazioni raccontano un terrore che difficilmente potrà essere superato, almeno nel breve periodo. La scena va ripercorsa: un alunno si alza, impugna una pistola che ha preso poco prima da un compagno, si avvicina al docente e preme il grilletto. Il professore sente un forte bruciore al torace e non sa, almeno fino a quando riesce a mettere a fuoco precisamente l’arma, che si tratti di una pistola a pallini, ad aria compressa o giocattolo, e non invece di una pistola vera. Per qualche secondo o addirittura minuto ha ipotizzato di essere vittima di un attentato, di essere possibile vittima di un omicidio. In questa terrificante ambiguità, in questo dubbio atroce (da falsa fucilazione, come nelle peggiori prigionie sotto dittatura), il professore emerge due volte umiliato dunque, ridotto all’impotenza da un minorenne di cui è, o meglio: era, educatore e insegnante.

Occorre inoltre chiedersi se questo episodio (come l’episodio, quasi identico, di Rovigo di un anno fa) possa essere derubricato, semplicemente, come una bravata, un atto di teppismo. Se sia, insomma, semplicemente un episodio, più grave come grado, ma dello stesso genere rispetto ad altri cui siamo abituati, o sia invece parte di un salto qualitativo. E per riflettere su questo occorre uscire dalle aule, dalle scuole e osservare come e in che modo siano mutati i comportamenti devianti dei giovani e giovanissimi. La cifra di questo cambiamento sembra essere: atti che sfidano ogni tipo di prudenza e buon senso, mettendo a repentaglio la propria e altrui incolumità con l’unico obiettivo di diventare visibili, social, virali. Sperando di essere filmati con un telefonino e rimbalzare sui socialnetwork.  Se questa è la ragione (anche) di questi episodi, che avvengono all’interno delle nostre scuole, dobbiamo temere, e prepararci in tempo, una escalation. Qualcosa di più e di più grave della semplice (e nota da sempre) emulazione. Siamo dentro un videogame di cui non conosciamo le regole, di cui ignoriamo modalità e tempi. Con una sola certezza: potremmo essere i prossimi bersagli, le prossime vittime, sperando che, almeno, anche alla prossima challenge la pistola sia ad aria compressa.

Alessandro Porcelluzzi

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