Ven. Apr 26th, 2024

Ieri in una mia classe ho utilizzato, per concludere un percorso su Hobbes, Locke e Rousseau, un video di un quarto d’ora (si trova su YouTube), in cui Stefano Petrucciani prova a spiegare i rapporti, punti di contatto e differenze, tra liberalismo e democrazia. Didatticamente molto efficace, secondo me, ma diventa particolarmente interessante (forse più per me che per gli alunni stavolta) nella parte finale. Perché, sulle orme di Habermas, descrive le difficoltà del compromesso tra pensiero liberale e pensiero democratico (compromesso che invece ha retto benissimo, anzi è stato vitale dopo il secondo conflitto mondiale e nei decenni successivi) negli ultimi anni. Petrucciani individua tre elementi di questa crisi, tutti a carico del pensiero democratico. Il liberalismo infatti a suo parere (e come dargli torto), pur modificando la natura dei diritti su cui di volta in volta punta, regge assai meglio (e infatti oramai da destra a sinistra si scorgono quasi solo sfumature di liberalismo). I tre elementi che invece mettono all’angolo il pensiero democratico sono, secondo Petrucciani: la (oramai non più così tanto) nuova comunicazione politica; il collasso della credibilità delle classi dirigenti; la rottura del patto, per estinzione o mutazione più o meno parziale di entrambi, tra popolo e Stato-nazione. Mi sento di aggiungerne un quarto, su cui ultimamente mi capita di tornare spesso e in ambiti apparentemente lontani tra loro: la scomparsa della mediazione. Occorre farci caso: è un vocabolo estinto. E se è scomparsa la parola, evidentemente non esiste più la realtà che quella parola indicava. Forse perché la mediazione richiede tempo e il tempo, ci sembra, è risorsa scarsa. Soprattutto quando è tempo, almeno apparentemente, non dedicato al produrre. Dunque la mediazione non ha più un tempo in cui dispiegarsi. Ma forse, e ancora, la mediazione spaventa perché costringe a scorgere punti di contatto, relazioni, dove prima sembrava di poter tagliare facilmente con l’accetta di qua o di là. E, quando il processo è concluso, a riconoscere rinunce, compromessi, passi indietro. In una parola: parziali sconfitte. Che però, per un democratico sincero, sono solo apparenti. Perché, a rigore, per un democratico conta, sempre e solo, che prima (sul piano teorico e logico) sia l’auto-legislazione. Il prodotto, il risultato è un dopo, sempre rivedibile. È un pensiero (ma soprattutto una pratica), quello democratico, che richiede più fatica di quella che siamo disposti a concedere e a concederci. Purtroppo.

Alessandro Porcelluzzi

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