Sab. Lug 27th, 2024

www.lintelligente.it ripudia la guerra. Per poter biasimare  un  conflitto bellico  però, non è sufficiente condannarlo,   bisogna anche adoperarsi per evitare che si creino le condizioni che lo innescano. Tuttavia questo racconto di  Nadia Farina  non ha una  finalità informativa, ma vuole essere semplicemente uno spunto di riflessione affinché si possa ponderare su di un tema tanto complesso e controverso. Nadia Farina, attraverso  un racconto ispirato da una storia veramente accaduta, ci trasporta in un passato che, ahimè, potrebbe anche ritornare.  Ricordiamoci sempre le note parole scritte da Jean Paul Sartre  “Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri a morire

Buona lettura

Antimo Pappadia (Direttore responsabile)

In una stanza sempre più spoglia, ancora seminascosta da una montagna di abiti di carnevale accatastati su una sedia, poggiata in un angolo, stava una toilette.  

     Quanta differenza da quando l’avevano portata nella sua camera.  Egle si era poggiata contro il muro opposto a lei, per guardarla meglio. Era il suo modo di entrare nelle cose, quello di vederle prima da lontano, per avere una visione d’insieme, una panoramica, avrebbe detto un fotografo.

     La sua toilette era bellissima, una scatola rivestita di formica giallo paglierino, con quattro cassettini laterali divisi a due a due da un cassettino centrale. Quando vi si sedeva sul  coordinato sgabellino tondo, si sentiva grande ed importante,  anche se allora, aveva solo quindici anni.      . 

       Alla domanda: 

–   “ Papà, ma dove l’hai trovata?” 

–  “  Non l’ho trovata! L’ho fatta fare apposta per te, da un mio commilitone” 

–  “  Da un tuo commilitone?” 

–  “  Ascolta, voglio raccontarti una storia”

*** 

     Era più che gelo, quel dicembre del ‘42, nella campagna di Russia.  

     Il freddo era così inumano, che non dava tregua a quel centimetro di pelle scoperto che mi lasciava fuori soltanto gli occhi. Avevo camminato a lungo, stancamente, in mezzo alla neve che mi arrivava alle cosce. Non potevo fermarmi, avevo degli ordini da consegnare.   

      La piana della Tundra coperta dai ghiacci perenni, lasciava intravedere lontano, molto lontano, qualche ciuffo di verde della Taiga. Il resto era un’immensa, sconfinata, tavola bianca. 

     Il gelo mi irrigidiva gli arti e il cuore. Solo la solitudine mi riscaldava l’anima, ed era diventata un’amica a cui avevo dato un volto e una voce,  perché e’ possibile in alcuni momenti concretizzare un sentimento, un’entità astratta, è possibile chiamare accanto a sé ciò che non esiste.  

     All’improvviso, quella bianca tavola, si sporcò. Su quella lavagna al contrario, un punto nero scriveva camminando, il suo passaggio. Veniva avanti, ancora avanti, ingrandendosi sempre più, e da informe assumeva un aspetto umano.   

     Un altro soldato stava avanzando in senso contrario verso di me .…  

     Non c’era posto per l’emozione, ma forse, per la paura …  

     Quasi ci toccammo, riconoscemmo  la divisa amica e ci guardammo lungamente negli occhi, l’unica cosa ancora vivente. Ci stringemmo in un abbraccio. La solitudine per un attimo si fece da parte e fratelli come non eravamo nella vita, cominciammo a raccontarci.  

     Ma qualcosa in me fremeva, la mia mente si agitava in una spasmodica ricerca. Tu sai che sono sempre stato considerato una specie di archivio di nomi di immagini di date.  

     Madre natura mi ha dotato infatti di una prodigiosa memoria. 

     Quando gli occhi dell’altro ancora una volta si posero nei miei, gridai: 

     – “Ma io ti conosco! Chi sei? Sono sicuro di conoscerti!” 

     – “ Appartengo al terzo…” 

     – ” Sì! .Ma il tuo nome?” 

     – ” Mi chiamo …. 

      E disse un nome  

  –  ” Ma tu sei stato a scuola, in quella scuola, in quel tempo, in quel luogo?” 

    – ” Si! – Sììì  ..” 

    – ” Noi…. eravamo compagni di classe !.” 

     Erano passati più di vent’anni e ora eravamo lì, di nuovo insieme, a scrivere sulla lavagna innevata con i nostri stivali credendo di poter cambiare il mondo! 

Suo padre si era poi fermato nel silenzio affinché  Egle potesse entrare nella storia e sentirne le emozioni che ancora lo coinvolgevano.  

     Dopo altri vent’anni, per un’altra incredibile casualità, suo padre e il commilitone, diventato nel frattempo un imprenditore di una fabbrica di mobili d’arredo,  si erano ritrovati. 

     Fu grazie a quel nuovo incontro che Egle divenne proprietaria della sua toilette.  

     L’aveva avuta tutta per sé nella sua stanza. Per il suo ripiano aveva creato degli oggetti personalizzati – spazzola, specchio, portacipria, rivestiti di velluto e rifiniti con passamaneria, dando così agio alla sua manualità di esprimersi. e poi l’aveva trasferita in tutte le case in cui era vissuta.  

     Ma il tempo non è generoso neanche con i mobili e la formica di cui la toilette era rivestita, si era gonfiata e in alcuni punti, staccata. Non più bella, ma utile ancora, Egle, la mise da parte, fino a quando il vento del cambiamento che era entrato da quella finestra aperta un mattino, non coinvolse anche la toilette. 

     Nella casa di fronte abitava un pittore che ogni tanto metteva ad asciugare sulla terrazza quadri molto colorati. Non le arrivavano i segni,  i dettagli,  solo il colore. Ad ogni quadro esposto, il pittore la guardava forse in attesa di un segno di assenso, un sorriso, un qualcosa che lo gratificasse. 

     Fu così che Egle decise di invitarlo a salire le scale del suo palazzo. Il pittore incuriosito, non si fece pregare. Quando fu sulla soglia, gli fece attraversare velocemente l’appartamento e lo condusse nel continente. Non voleva darsi il tempo di pensare che stava per dare via la sua toilette.  

     Si fermò come una volta, sulla parete opposta, questa volta accanto al pittore ed insieme guardarono la toilette. Egle gli raccontò la storia di suo padre e poi faticosamente: 

     -“La vuole? Gliela regalo.  Ha sempre contenuto cose e colori per tentare di fare bella la persona,  adesso mi piacerebbe che gli ombretti e le matite per gli occhi fossero sostituiti da tubetti di colori, da tempere ed acquarelli, da carboncino e da sanguigna, da matite colorate e da pennelli.  Vorrei che contenesse colori per fare bella l’anima. “ 

     Il pittore si caricò sulle spalle la sua toilette e un giorno… le lasciò davanti alla porta un quadro bianco con due soldati nella neve 

Nadia Farina

Dal mio libro  ” Le parole lungo il viale – 

(La foto è un’opera di Nadia Farina -La lavagna bianca-)

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