Ven. Mar 29th, 2024

“ Possiamo dire che il jazz è un virus, un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, “infettando tutto ciò che ha trovato sulla sua strada: il cinema, la poesia, la pittura, la vita stessa.” ( Steve Lacy)

Leggo queste parole sul pieghevole che ho tenuto a portata di mano, o meglio a portata di memoria, qui sulla mia scrivania fino allo “scoccare” del 9 luglio, data di inizio del jazzontheroad.

Naturalmente tutti sanno che il jazz, oltre ad essere un virus, è nato nella notte dei tempi a New Orleans, ma non tutti conoscono l’origine incerta della parola jazz che per molto tempo fu pronunciata e scritta jass.

A tal proposito vi sono varie teorie più o meno affascinati e talvolta bizzarre. C’è chi fa derivare jass dalla parola di etimologia francese jaser che potremmo tradurre in gracchiare, fare rumore, ciarlare e nel dialetto della Louisiana francofona del 700 persino copulare, per il fatto che venisse suonata in ambienti considerati un po’ equivoci.

Altri fanno derivare la parola jazz da Jar che in inglese significa vaso. In effetti i primissimi suonatori di colore usavano dei vasi rovesciati come delle percussioni da cui dall’inglese to play jares ossia suonare dei vasi, delle giare, oppure dei barattoli. Suonare con dei vasi la cui pronuncia è la stessa di to play jazz.

C’è ancora chi lo attribuisce all’espressione tipica di New Orleans jazz them boy, (locuzione in gergo colorita e traducibile in coraggio ragazzi) ed è quella che mi piace di più .

Infatti di coraggio si tratta, e potrei aggiungere anche di incoscienza, quando penso a quei ragazzi e a Francesco Schettino, il più visionario di tutti, oggi quarantenni, che, appassionati di un genere musicale allora un po’ di nicchia, si sono buttati a capofitto in questa avventura che ormai dura da ben 15 anni, dando vita a quello che oggi è diventato uno dei più prestigiosi festival jazzistici della città di Brescia: il jazzontheroad

E questa edizione ne è la conferma, avendo in cartellone nomi molto noti nel panorama jazzistico internazionale quali Dino Rubino , ugualmente dotato sia al piano che alla tromba e premiato, nel 1997 col premio Massimo Urbani; Dan Weiss, che è riuscito a combinare il jazz con la potenza dell’heavy metal; Yamandu Costa, talentuoso musicista brasiliano, che ha letteralmente mandato in visibilio il pubblico con una performance di forte impatto emozionale, dando prova di un virtuosismo da fuoriclasse; Walter Beltrami, che con il suo “ Invisible people” ha toccato corde di chitarra e cuore, dedicando il progetto a quegli “eroi silenziosi che ci camminano accanto, destinati a rimanere Nessuno”.

E poi lui, un magnifico Giancarlo Giannini, accompagnato nella lettura delle poesie, dal sax del grande Marco Zurzolo. Un dialogo tra attore e spettatori parlando d ’amore, di passione…di vita.

Uno straordinario viaggio di ”Parole note”

 

E allora, tornando alle parole di Steve Lacy, io mi lascio infettare volentieri dal virus del jazz, augurandomi che questa malattia non finisca mai.

 

Annabruna Gigliotti

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