Sab. Dic 7th, 2024

Nella scena più importante di “Bastardi senza gloria”, di Quentin Tarantino, ambientato durante le vicende della seconda guerra mondiale, gli americani si infiltrano all’interno di una manifestazione nazista (la prima di un colossal cinematografico a scopo propagandistico), fingendosi italiani (e quindi alleati dei tedeschi), ma dopo un po’ cominciano a destare sospetti, anche a causa del fatto che gli americani parlano un italiano inevitabilmente approssimativo.

Ciò non sfugge ad un membro dell’esercito tedesco, che, per essere più sicuro rispetto a quanto intuito, si fa ripetere i cognomi dei sedicenti italiani: uno di questi, il più importante, il capo (Brad Pitt), risponde di chiamarsi “Gorlami”. E desta in questo modo ulteriori sospetti, veicolati dalla cattiva pronuncia, perché, in realtà, avrebbe dovuto rispondere “Girolami” (di cui “Gorlami” è, non casualmente, anagramma).

I cinefili sanno che l’uso del cognome “Girolami” (e, nella storpiatura, “Gorlami”) rappresenta un omaggio a Enzo G. Castellari (Roma, 29 Luglio, 1938 – vivente), regista di “Quel maledetto treno blindato” (1977), film del quale “Inglourious Basterds” (non è un errore: è la storpiatura ideata dallo stesso Tarantino, per il titolo originale) rappresenta un rifacimento. Ebbene, sì! … il premiatissimo film di Tarantino è un remake, per quanto liberissimo, di un film (italiano) di Enzo G. Castellari!

Di più: si sa che Tarantino consideri Castellari uno dei più grandi registi viventi! Ancora di più: per tale motivo, lo invita a comparire nella scena suddetta, col suo simpatico faccione e i capelli bianchi (è quello che viene definito “cameo” cinematografico) … lo si vede proprio fra Brad Pitt e l’ufficiale tedesco che lo interroga, sullo sfondo.

Castellari è stato ed è un validissimo regista, nonché un ottimo realizzatore di incassi, soprattutto negli anni ’70, ed è sicuramente “qualcuno” per Tarantino e per un manipolo di cinefili, ma è pressoché ignorato da molti anni in Italia …

… in un’Italia che è sempre stata quasi totalmente sedotta, a livello di critica cinematrografica, dal mito del cinema “impegnato”.

Chiunque abbia studiato un po’ di Storia del Cinema, sa infatti che cinque, per antonomasia, vengono considerati gli autori “impegnati” del periodo della ricostruzione (1945 – 1960): Visconti, Rossellini, De Sica, Antonioni, Fellini; e più o meno altrettanti se ne aggiungono successivamente (1960 – 1980, con un’ovvia sovrapposizione temporale ai precedenti): Risi, Monicelli, Pasolini, Comencini, Scola.

Il nostro “Gorlami” non rientra evidentemente in questa top ten. Per la maggior parte della critica cinematografica, insomma, non è “un artista”, non è “impegnato”, e a maggior ragione non è un “artista impegnato”.

Su quanto male abbia fatto al cinema italiano, ed anche alla nostra cultura, questa distinzione fra “cinema impegnato” e “cinema di genere” (“giallo”, “thriller”, “noir”, “poliziesco”, “fantascienza”, “western”, “comico”, “sexy”, e compagnia filmando!), lo considereremo nel prossimo articolo.

D’altra parte, sta di fatto che Enzo G. Castellari, presumibilmente, neanche vorrebbe essere considerato “un artista”. Penso invece che gli potrebbe andar bene di essere considerato un “maestro”, per l’appunto, del “cinema di genere” …

… un po’ sulle orme del padre, Marino Girolami, autentico vate del cinema popolare e “di cassetta”: un regista che, in oltre 30 anni di carriera, non si fece mancare veramente nulla, approdando verso fine carriera addirittura alla farsa scollacciata di Alvaro Vitali: ebbene, sì!, Marino Girolami è stato il regista di Pierino!

Castellari ha sempre parlato benissimo dell’apprendistato cinematografico col padre, che ha comportato una conoscenza del film anche negli aspetti più minuziosamente tecnici. Tuttavia, proprio per questa grande contiguità, non ne ha preso il cognome (Girolami), che è invece quello della madre (Castellari, diventato pertanto “nome d’arte”): i due registi, padre e figlio, rischiavano infatti di essere seriamente confusi dal pubblico, e forse anche dagli addetti ai lavori.

Ma il cognome del padre, e quindi il cognome anagrafico, è sempre comparso e compare nell’enigmatica “G.”, frapposta fra nome e cognome.

In tempi recenti, Enzo G. Castellari ha avuto un colpo di coda di notorietà mediatica, per una teoria che egli propugna in realtà da sempre, ma che solo adesso, saldandosi con un simpatico “cazzeggio”, viene proposta al grande pubblico, e regolarmente rispolverata.

Secondo Castellari, il “cinema di genere” deve solleticare l’attenzione dello spettatore già dal titolo, che deve essere un titolo “forte”, come, ad esempio, quello del primo film da lui diretto: “Vado, l’ammazzo e torno” (1967).

Su questo canovaccio, Castellari ha sviluppato una distinzione “romanesca” fra titoli che emozionano ed impressionano, pertanto fanno immediatamente venir voglia di andare al cinema, e titoli che non emozionano, né impressionano: i primi sarebbero titoli del genere “Mecojoni!”, ed i secondi del genere “Sticazzi”.

https://www.youtube.com/watch?v=m7hDHQKlBzo

https://www.youtube.com/watch?v=VVBEt1w4zAk

Trattasi di una distinzione chiarissima a Roma, ma spesso meno chiara al Nord, quindi varrà la pena di esplicitarla:

“Mecojoni!” significa letteralmente “Mi stai prendendo in giro!”, e si riferisce a fatti così iperbolici da sembrare incredibili, come, per l’appunto, l’ideazione di un titolo azzeccatissimo ed immediatamente coinvolgente.

La derivazione linguistica remota dal nome gergale degli organi genitali maschili è probabile, ma a Roma “coglionare” significa più semplicemente “prendere in giro”.

Il romano ben addestrato, però ci aggiunge il punto esclamativo … come a dire: “Mi stai proprio prendendo in giro!”, non: “Mi stai per caso prendendo in giro?” (col punto interrogativo), ed accompagna generalmente l’espressione con il cadeau delle labbra disposte ad arco, come da foto che ritrae il Castellari stesso (FOTO).

“Sticazzi!” (qui l’etimologia non lascia scampo), equivarrebbe a dire: “Ma questi cazzi (queste cose) a chi possono interessare?!?”, e si accompagnerebbe invece con una bella alzatuccia di spalle, al limite del “chissenefrega”, ma, secondo me, più ironicamente.

Enzo G. Castellari è regista, fra gli altri titoli, di: “Vado, l’ammazzo e torno” (1967); “Ammazzali tutti e torna solo” (1968); “Gli occhi freddi della paura” (1971); “Ettore lo fusto” (1972); “Tedeum” (1972); “La polizia incrimina, la legge assolve” (1973); “Il cittadino si ribella” (1974); “Keoma” (1976); “Quel maledetto treno blindato” (1977); “Il cacciatore di squali” (1979); “L’ultimo squalo” (1981); “1990, I guerrieri del Bronx” (1982); “I nuovi barbari” (1983); “Fuga dal Bronx” (1983).

Ed è autore di una massiccia autobiografia: “Il bianco spara!” (2016), con la prefazione di Franco Nero, ineguagliabile interprete dei due “polizieschi all’italiana” (detti gergalmente “poliziotteschi”) del 1973 e del 1974 (vedi sopra):

http://www.bloodbuster.com/catalogo/libri/libricinema/dal-112016-bianco-spara-autobiografia/

Non sarà sfuggito all’intelligentissimo lettore de “lintelligente” che ho usato con molta cautela l’appellativo “maestro”, per riferirmi ad Enzo G. Castellari, virgolettando l’appellativo per due volte:

Signor Castellari, se oggi finalmente cominciassero a considerarla un “maestro” del cinema italiano, come lei effettivamente merita per la qualità dei film, la cura artigianale, i temi controcorrente, ed anche gli incassi al botteghino, sia italiano, sia americano, la notizia la considererebbe più “Sticazzi!”, o “Mecojoni!” … ??? …

Gianfranco Domizi