Mar. Ott 8th, 2024

Aveva disturbi comportamentali palesi. Le sue difficoltà di apprendimento lo spinsero a cambiare scuola più volte. Le condizioni economiche precarie lo indussero a vari spostamenti. Collezionò molte denunce a causa dei suoi comportamenti definiti “inadeguati al contesto sociale”.

Nel 1919 fu definitivamente espulso dalla Svizzera.

Venne a vivere in Italia, a Gualtieri di Reggio Emilia, il paese di origine del suo padrino.

Tirava avanti come poteva e non di rado tentava di “rifilare” dipinti in cambio di qualcosa da mangiare.

Quel disadattato che dipingeva quadri in cambio di un piatto di minestra era il grande pittore Antonio Ligabue, oggi orgoglio dell’arte non solo nazionale, ma mondiale.

Antonio Ligabue è vissuto ed è morto (Gualtieri, 27 maggio 1965) nella stessa terra in cui risiedo io. Sarà forse per questo che a volte mi domando: se oggi dovessi incontrarlo, riconoscerei il suo talento? E i critici contemporanei apprezzerebbero le sue capacità artistiche o Antonio Ligabue sarebbe costretto a vivere di elemosina? L’esperienza ci dimostra che in ogni epoca c’è sempre qualcuno pronto a puntare il dito contro chi in passato ha avuto la colpa di non riconoscere i talenti del proprio tempo: si tratta spesso degli stessi accusatori indifferenti agli autentici artisti contemporanei. E’ la storia che si ripete. “L’esperienza insegna che gli uomini dall’esperienza non hanno mai imparato nulla” diceva a tal proposito George Bernard Shaw circa centocinquanta anni fa. Sarà forse per questo, o per qualche mio incomprensibile motivo inconscio, che pensando ad Antonio Ligabue mi viene in mente un artista che risiede a poche centinaia di metri da casa mia: anch’egli pittore, si chiama Giuseppe Martucci.

Martucci, classe 1978, ha frequentato l’Istituto d’arte U. Minossi e da allora vive solo di arte e per l’arte. Per rappresentarlo adeguatamente in poche righe mi sono rivolto a diversi esperti e tra questi ho scelto di riportare le parole della Professoressa Camilla Caliendo, formatasi al DAMS (Disciplina delle Arti della Musica e dello Spettacolo) di Modena. La professoressa asserisce che i quadri di Giuseppe catturano lo spettatore con il colore, vero protagonista della scena. Muovendosi morbido e fluido nelle linee fluttuanti di geometrie che sembrano rievocare un giovane Giacomo Balla, il modo di dipingere dell’artista resta innovativo e, al tempo stesso, capace di sfruttare le cromie scintillanti dei grandi maestri veneziani. Campiture piene e forme dense si intrecciano per dare vita a grande sentimento, quel Sentimento che Giuseppe definisce universale e riconducibile all’oggettività di qualsiasi forma d’arte. Anche l’osservatore più razionale non può fare a meno di perdersi nel gioco labirintico e forse onirico in cui il Martucci vuole invitarci a seguirlo attraverso le sue Opere.

 

Antimo Pappadia