Mer. Nov 6th, 2024

Nel numero precedente, del 01 Febbraio, avevo sviluppato alcune osservazioni sulla politica in generale, e sulla politica italiana in particolare. In questo numero, analizzo tendenze e cambiamenti negli ultimi 50 anni (1968-2018), e formulo previsioni riguardanti la prossima tornata elettorale. Le formulo ovviamente per gioco, e l’immagine sovrastante è puramente indicativa, non facendo riferimento a percentuali realistiche.

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Ho sostenuto che la Politica ci viene generalmente raccontata come una sinergie di Valori, Programmi e Persone.

Ma Programmi e Persone (competenti) diventano sempre più ininfluenti, in virtù del fatale allineamento dell’Italia all’Europa, dell’Europa agli Usa, e dell’Usa alla Finanza.

Lo sviluppo e la crisi avvengono infatti per autoregolazione economica, senza che la politica economica possa incidere significativamente: il tutto si riduce conseguentemente a modeste ri-allocazioni di risorse, utili solamente a convincere la gente (ed i singoli gruppi sociali) che si stia facendo qualcosa proprio per loro.

Tuttavia, gli elettori sanno, quanto meno inconsciamente, che le cose non stanno affatto così: non si fa nulla, non si riesce a fare nulla, non si può fare nulla di diverso che “attaccarsi alla locomotiva” (Stati Uniti). E questo inevitabile immobilismo (in questa fase storica, vorrei sperare) spiega il fenomeno del non-voto, molto meglio dell’ignoranza, della sterile protesta e del rancore sociale.

Questa ontologica inutilità la sanno parimenti bene, quanto meno inconsciamente, anche coloro che si occupano di Politica in senso professionale e/o “militante”, che, conseguentemente, potranno essere anche animati da una pluralità di pulsioni “oneste” o “disoneste”, ma nulla di ciò può avere obiettivamente a che fare con il cambiamento sociale.

L’eclissi dei competenti non deriva (si parva licet …) dalla decadenza dell’Occidente, ma più banalmente dal fatto che la competenza non serve. La politica è insomma il rifugio dei mediocri, degli arrivisti, degli affaristi e degli imbonitori, e, quando si ambisce ad alzare il tiro, degli illusi e dei frustrati.

Nel numero scorso ho avanzato ulteriori perplessità, riguardanti i tanto sbandierati Valori: “Ma come – potreste confutarmi -, i fatti di cronaca, per esempio Macerata, non evidenziano forse un dissidio insanabile fra fascisti e non, razzisti e non, democratici e non, fanatici della sicurezza e dell’ordine, e non? Nei giorni scorsi è stato tutto un PRIMA PAMELA, e, dall’altra parte, un EVITIAMO I GIUSTIZIERI INVASATI DALL’ODIO”.

In realtà, se parlassimo di Valori, si equivarrebbero tutti: l’accoglienza, l’uguaglianza, l’inclusione, la sicurezza, la difesa dei deboli, dei bambini, degli anziani e delle donne.

Mettersi d’accordo sui Valori non dovrebbe essere pertanto impossibile, e, di fronte alla drammaticità della cronaca e dei problemi che l’alimentano, si potrebbe anche tentare di accordarsi, almeno in parte, su idonei Programmi di welfare, giustizia ed ordine pubblico. Ma a ben vedere, si percepisce solamente un urlare (o “postare”): “Io sì che sono di Sinistra!”, “Io sì che sono di Destra!”, “Io sono moderato ed equilibrato”, per una manciata di voti (“professionisti della politica”), o per continuare a illudersi di poter contare qualcosa (“militanti”).

La partita è essenzialmente simbolica, e, come dicevo 15 giorni fa, riguarda: a) i comportamenti e gli atteggiamenti (di tutti); b) il linguaggio dei leader; c) l’identificazione simbolica con i protagonisti della politica.

Sono questi tre confronti simbolici, che ovviamente si intrecciano e si sovrappongono reciprocamente, a generare fastidi e intolleranze reciproche, nonché discussioni senza fine.

In fondo, che mezza Italia sia sotto scacco della povertà, della precarietà e dell’analfabetismo frega ben poco alla grande maggioranza dei benestanti; e gli stessi poveri, precari ed analfabeti, all’interno di questa logorante competizione simbolica, trovano un loro paradossale placebo.

Le competizioni simboliche sono per loro natura non-risolvibili: ognuno può affermare in eterno le proprie verità, “torcendo” la realtà in modo tale da conformarla costantemente alle proprie convinzioni: per i romanisti, “Lazio merda” … per i settentrionali, “Napoletani lavatevi” … per i napoletani “Giulietta è ‘na zoccola” (sfottò anti-veronese) … e per tutti i non-juventini d’Italia, la Juventus è la “Rubentus”, perché, per definizione, ruba e ruberà in eterno più degli altri.

Ovviamente non tutti i tifosi sono così: alcuni si radunano nelle case o nei bar per sfottersi reciprocamente, e tutto va a finire in grandi bevute. E non tutti i votanti sono così.

Ma deprivando la Politica della possibilità di cambiare la Società in una qualsiasi direzione (con la “politica economica”, dicevo, inclusa quella distorta basata su elemosine e favori), la competizione assomiglia e assomiglierà sempre di più a quella calcistica.

Sarà insomma colma di motivazioni che non sono tali, ma meri stereotipi; tuttavia, il “tifo ignorante” dei “politici di professione” e dei “militanti”, contrapposto al “disincanto dei non-votanti”, rischia comunque, regolarmente, di risultare più interessante di un confronto politico che, del resto, è pressoché totalmente basato sul nulla.

Infine, la mancanza di eventi che possano fungere da “conferma” o “confutazione” permette a ognuno di sfoggiare in eterno il poster di Che Guevara, “pur essendo entrato in banca pure lui” (cit.), o di sentirsi un gran giustiziere, anche quando si è evidentemente giù di palestra, e con la pancetta: “basta il busto” (del Duce), verrebbe da dire, con un gioco di parole. E anche fra i “moderati” i riti (del “buon produrre” e “ben gestire”) abbondano: una piccola Confindustria di sfigati.

Sopravvivono, dicevo, i comportamenti e gli atteggiamenti.

Ne identificherei storicamente quattro: a) Comunista – di Sinistra; b) riformistico – progressistico; c) Democristiano – liberistico; d) Fascista – di Destra.

Se esaminiamo queste tendenze nel periodo che va dal 1968 al 1979, possiamo accorgersi che la consistenza dei quattro gruppi rimane pressoché costante (30 – 35%; 15 – 20%; 40% – 45; sotto i 10%) … e ciò nonostante si tratti di un periodo storico estremamente convulso, comprendente sia gli ultimi anno del boom economico, che la recessione, e addirittura il terrorismo.

La categorizzazione proposta è secondo me sufficientemente precisa perché, a causa del sistema elettorale “proporzionale” dell’epoca, il 40% di voti (ad esempio) democristiani, significava esattamente “comportamenti ed atteggiamenti democristiani” (ed anche idee: la realtà era comunque dinamica, ed i cambiamento e/o la conservazione chiaramente avvertibili).

E’ tuttavia poco precisa alla luce di una considerazione ulteriore: sto di fatto raggruppando i Partiti – PCI, PSIUP, estrema Sinistra = a); PSI, PSDI, PRI e Partito Radicale = b): DC e PLI = c; MSI e Monarchici = d) -, senza tuttavia dar ragione delle “correnti”, che, all’epoca, erano particolarmente “sentite”, non soltanto per motivi di potere; la minoranza socialista, ad esempio, era più a) che b), e la minoranza democristiana più b) che c).

Se è vero quello che sto sostenendo, ovvero che comportamenti ed atteggiamenti si perpetuano per cause psicologiche e simboliche, più che politiche ed economiche, non dovrebbe essere difficile fare una previsione: a) Sinistra al solito 35% (M5S, LeU); b) riformisti-progressisti al solito 15% (metà del PD, più “partitini”); c) liberali-liberisti al 30% (l’altra metà del PD, più Forza Italia); d) Destra al 20% (Lega, FDI), con un sostanziale travaso di voti, cioè, da c) a d).

E basta! In 50 anni!

La previsione è forse un po’ grossolana perché, a causa del sistema elettorale vigente, i voti dei “partitini” risulteranno a volte ininfluenti, ed altre volte verranno portati in dote non a se stessi, ma agli alleati.

La questione è però un’altra: si può dire che il M5S svolga una funzione similare a quella del PCI? Presumibilmente si incazzerebbero (e si incazzeranno, se mi leggono) sia gli uni che gli altri (i vecchi politici, militanti ed elettori, oramai dispersi in altri partiti).

Ma a sentire le critiche degli ex-PCI, che accusano il M5S di essere eccessivamente proni ai valori del “capo” (Grillo, non Di Maio), c’è effettivamente da sorridere. Essendo stato un iscritto del PCI dal 1978 al 1988 ho avuto modo di vedere la totale acquiescenza della base verso un leader notevolissimo, Enrico Berlinguer, che comunque decideva la linea consultandosi solamente col portavoce, Antonio Tatò … per non parlare dell’acquiescenza verso il principale capo precedente, Palmiro Togliatti, le cui ambiguità non sono ancora state ricostruite a sufficienza dalla storiografia.

Eh, sì!, le due Organizzazioni si somigliano molto di più di quanto i diretti interessati siano disposti ad ammettere.

Per non parlare di metà PD, che sicuramente non ambisce a sentirsi dare del “democristiano” (nonostante i democristiani siano stati “fondatori” proprio come i comunisti, e siano ottimamente rappresentati nel Partito attuale)!

Beh, che dire? Non incazzatevi troppo, che alla fine troverete comunque motivo per festeggiare … come sempre …