Sab. Apr 20th, 2024

Il “gioco” degli anniversari storici sconta quasi inevitabilmente la ripetitività del meccanismo: (ad esempio, i 50 anni dal Sessantotto, quest’anno, ripropongono grosso modo tesi già sentite dieci anni fa, per i 40 anni).

Tuttavia, riflettere sui tempi passati, anche con la “scusa” giornalistica e storiografica degli “anniversari”, può diventare occasione di dialogo con le generazioni “subentranti”, che certi fatti e certe idee possono solamente sentirsele raccontare, perché “non c’erano”.

Per dire: io nel Sessantotto biograficamente “c’ero” … ma al massimo come inesauribile giocatore di calcio, biglie e figurine in Parrocchia; nel Settantotto (il più tipico degli “Anni di Piombo”, quello del rapimento e uccisione di Aldo Moro, nonché, per altri versi, quello dell’inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II), invece, “c’ero” in tutta l’arroganza dei miei 19 anni. E penso di ricordare bene quell’anno, e tutti gli anni Settanta.

Gli anni con l’ “8 finale” sono “densissimi” dal punto di vista storico- sociale: procedendo a ritroso (dal 1978 e dal 1968, già evocati), troviamo la fine della Prima Guerra Mondiale (1918, quindi centenario quest’anno), i moti rivoluzionari borghesi (1848) e, last but not least, la nascita di Carlo Marx (1818, quindi bicentenario) …

… tutti eventi dai molteplici significati, entro cui possiamo leggere l’Ottocento e il Novecento, gli Stati Nazionali, le speranze rivoluzionarie (prima “borghesi”, poi “proletarie”: nell’Ottobre del 1917 avviene la Rivoluzione Russa), il destino della Sinistra.

Ovviamente non è l’anno in sé! A volte esistono “colpi di coda” (il Sessantotto è inevitabilmente connesso alle lotte operaie del 1969, e allo statuto dei Lavoratori del 1970), in alcuni casi anni non particolarmente ricordati, né rievocati, né tanto meno celebrati, come il 1988, posso “lanciare” eventi come la Caduta del Muro di Berlino (1989) e, “si parva licet”, la dissoluzione del Partito Comunista Italiano (1991), che si trasforma necessariamente in qualcos’altro, in definitiva più simile alla Socialdemocrazia che al Comunismo.

Insomma, analizzando anni ’68, ’78 e ’88, possiamo fare i conti con un’ “onda lunga” di contributi teorici (Marx e il Marxismo) e di fatti (le Rivoluzioni, e più in generale l’evoluzione della condizione operaia).

Ed io, con questo articolo, inevitabilmente in due parti a causa della ponderosità e della complessità del tema, tenterò proprio di accostare reciprocamente due grandi protagonisti degli anniversari di quest’anno: Marx (nato nel 1818) e rivolte studentesche europee del 1968.

(Ci sono ovviamente anche quelle negli USA, dove però il fenomeno si intreccia ad ulteriori complessità, qui non analizzabili, come il rifiuto della leva obbligatoria per la Guerra del Vietnam).

Sembrerebbe che però che ci sia ben poco di nuovo da dire, giacché le posizioni sull’argomento sono cristallizzate da tempo.

Da una parte, è evidente che i movimenti studenteschi europei attingono dal Marxismo molte parole d’ordine. Specialmente in Francia, Germania e Italia, fioriscono “ispirazioni” a Marx, Lenin, Trockij e Mao Zedong.

(In alcuni casi, ci si riferisce aggiuntivamente a tradizioni nazionali ben rappresentate: Gramsci e il “gramscismo”, o, al contrario, minoritarie: Bordiga, Pietro Secchia e i partigiani comunisti che dopo la resistenza non avrebbero voluto deporre le armi, ma trasformare la Liberazione in Rivoluzione proletaria).

Dall’altra parte, è evidente che non sia il proletariato, ma i giovani figli della borghesia, ad animare prioritariamente il Sessantotto, svolgendo a volte ruoli “leaderistici”, a partire dai quali spiccare in seguito il volo verso Università, Media o Cultura in generale …

… un fenomeno per niente sfuggito a Ionesco (vedi prime righe del link seguente):

http://www.ilgiornale.it/news/volte-ritornano-sessantotto-mito-delle-origini-all-ipocrisia.html

e neppure a Pasolini, con la famosa “presa di posizione” a favore dei poliziotti e “contro gli studenti”, a seguito degli scontri avvenuti di fronte davanti alla Facoltà di Architettura, in una zona di Roma nota come “Valle Giulia”:

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Valle_Giulia .

Nel 1978, a seguito principalmente del Caso Moro, diverrà chiaro a tutti, o quasi, che la violenza terroristica aveva finito per demolire ciò che era stato costruito negli anni precedenti. Tuttavia, per tutto il decennio (’68-’78) i due fenomeni: “ispirazione marxista” e “provenienza borghese” dei giovani “rivoluzionari”, di fatto convivono. Aggiungerei a ciò una componente di “ricambio generazionale”, prevalentemente interna alla classe borghese: i Padri, che hanno ricostruito l’Italia dopo la guerra, e che poi l’hanno sviluppata oltrepassando limiti addirittura impensati (“Boom economico”), lasciano, a partire dal Sessantotto, il posto ai Figli, che sembrano meno interessati alle questioni connesse con la ricchezza e con il denaro (che viene in genere disprezzato), e più propensi a cimentarsi nella battaglia delle idee, ovvero con la cultura, la musica, i media, il “costume”.

Dentro questo ricambio generazionale, a volte anche isterico, esagitato e volgare, gli unici che vengono “risparmiati” sono i Padri che hanno fatto la Resistenza … oppure piccoli gruppi di intellettuali che procedono ad interpretazioni “minoritari” di Marx “ispiratrici” dei vari gruppi della cosiddetta “Sinistra extra-parlamentare”.

(Quest’ultima peraltro, ad onta della definizione “popolare” largamente diffusa, entrerà essa stessa in Parlamento nel 1976, con una nuova organizzazione apparentemente “promettente”, denominata “Democrazia Proletaria: una faticosa sintesi dei gruppi più in auge al momento, ovvero Partito di Unità Proletaria, Avanguardia Operaia. Lotta Continua; tuttavia, il non esaltante 1,5% determinerà negli anni una diaspora in direzione dei Verdi “nascenti”, o all’interno dei “classici” Partiti della Sinistra.)

Infine,  se volessimo mettere insieme le due ipotesi (Marxisti versus giovani borghesi “oziosi”), potremmo concludere che, all’interno di una “resa dei conti” generazionale (ed in cui la centralità della Cultura e dei Media sembrava dover sostituire quella dell’Economia e dello Sviluppo), molti giovani decisero, soprattutto fra il 1968 e il 1978, di farsi “tentare” dal Marxismo …e moltissimi fecero finta di conoscerlo perché “andava di moda” (!), credendo pertanto “in buona fede” a quello che gli veniva raccontato (Sartre e Godard “filocinesi”), o a quello che noi stessi ci raccontavamo a vicenda, per illuderci di essere più forti e combattivi, di quanto poi fossimo nella realtà di ogni giorno:

https://www.corriere.it/cultura/18_settembre_03/quel-che-resta-di-mao-zedong-mario-tesini-lorenzo-zambernardi-le-monnier-6a235856-af84-11e8-8b32-ed1119b5e5f1.shtml?refresh_ce-cp .

Per descrivere quegli anni, Vittoria Ronchey azzeccò un titolo furbesco e irritante: “Figlioli miei, marxisti immaginari” (Rizzoli, 1975), ma aveva anche lei le sue ragioni:

http://www.anni70.net/libri/figlioli-miei-marxisti-immaginari/ .

Tuttavia, oggi non centrerei la discussione sui destini individuali dei “giovani marxisti” di allora: che ci si faccia “traviare” per soldi, vanagloria, normali preoccupazioni famigliari e lavorative, avviene in tutte le generazioni e impronta tutti i ricambi generazionali: vedere nel nesso Marxismo – Sessantotto solamente l’oziosità, l’ingenuità (o la furbizia), la sconfitta esistenziale (e/o l’arrivismo) dei “giovani borghesi”, sarebbe riduttivo e ingeneroso.

Molto più interessante, a mio parere, è invece il summenzionato passaggio dalla centralità dell’Economia (Ricostruzione e Boom Economico dei “padri”) a quella della Cultura, che potremmo emblematizzare già-da- subito nella tumultuosa trasformazione, in quegli anni, della Musica e del mercato dei dischi e dei concerti. Negli anni Sessanta e Settanta il Rock, ed in misura minore il Jazz e il Folk, pervengono a un’importanza “sociale” mai precedentemente raggiunta.

Nella Seconda Parte dell’articolo, e quindi nel numero prossimo, esplorerò proprio l’egemonia della Cultura e l’incredibile sviluppo della Musica per tentare di scorgere, attraverso di esse, ulteriori ipotesi sul Sessantotto e sul legame con Marx, che vadano oltre, pertanto, la riproposizione di dispute oramai cristallizzate: “Marxisti convinti” (seppure eterodossi) versus “Giovani borghesi” in attesa di un posto al sole.

Terminiamo però con un “classico” (1975!):

https://www.youtube.com/watch?v=C9E5my_x-JI&list=RDC9E5my_x-JI&start_radio=1&t=12 ,

http://www.angolotesti.it/A/testi_canzoni_antonello_venditti_1512/testo_canzone_compagno_di_scuola_1617465.html .

Gianfranco Domizi

Un pensiero su “MARXISTI IMMAGINARI? (Parte Prima)”

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