Gio. Mar 28th, 2024

Per la rubrica Tracce, un importante contributo di Gian Paolo Borghi, che ci trasporta con questa capillare ricostruzione, nella straordinaria vita della nota poetessa improvvisatrice dell’appennino tosco-emiliano,  Beatrice di Pian degli Ontani.

Beatrice Bugelli, nota come “Beatrice di Pian degli Ontani”, è stata la più nota poetessa improvvisatrice dell’appennino tosco-emiliano. Nata nel 1803 al Cornio di Cutigliano, nel pistoiese, e stabilitasi, dopo il matrimonio, nella non lontana Pian degli Ontani, è apprezzata dalla sua gente e dai principali esponenti del mondo poetico e letterario della sua epoca come Niccolò Tommaseo, Giambattista Giuliani, Massimo D’Azeglio, Giuseppe Tigri, Giuseppe Giusti, Francesca Alexander. La stessa improvvisatrice colta Giannina Milli instaurerà con lei un rapporto di amicizia. Dopo la morte della madre, accompagna ancora giovanissima il padre nei suoi lavori in Maremma. Si sposa in età giovanile con Matteo Bernardi, molto più anziano di lei, e proprio il giorno del matrimonio, assistendo al contrasto tra due improvvisatori, si lancia per la prima volta nella disputa poetica scatenando l’entusiasmo tra i convenuti. Da allora è frequentemente invitata ad esibirsi in feste e in cerimonie locali dove riscuote grande successo popolare.

In pochi anni raggiunge anche una rilevante notorietà esterna al suo mondo, grazie a numerosi incontri con studiosi, letterati, estimatori di poesia e curiosi che vanno a farle visita e che in seguito la invitano ad improvvisare versi in prestigiosi salotti letterari, aristocratici e mondani a Firenze, Pistoia, Bologna e in tante altre località minori.

La sua vita trascorre tra figli e lavoro e la poesia è il condimento intellettuale delle ore sue più belle. Nel 1832 incontra  Niccolò Tommaseo, in viaggio letterario in Toscana, che scriverà di lei:

«Feci venire di Pian degli Ontani una Beatrice, moglie d’un pastore, donna di circa trent’anni, che non sa leggere e che improvvisa ottave con facilità, senza sgarar verso quasi mai: con un volger d’occhi ispirato, quale non l’aveva Madama de Sade; lo giurerei per le tre canzoni degli Occhi. […] Né Francesco da Barberino vanta fra’ suoi molti versi che valgano questi:

E gran sollazzo ci verremo a dare –

Che di scrittura non posso imparare –

La montagna l’è stata a noi maestra –

La natura ci venne a nutricare –

E ’l sole se ne va via là pian piano;

Ch’io ne debbo partir da Cutigliano.

Nel contrasto di chi le risponda, la Beatrice s’infiamma e resiste ore intere a cantare sempre ripigliando la rima de’ du’ ultimi versi cantati dal suo compagno».

 Il linguista Giambattista Giuliani, nelle sue Lettere al Tommaseo, riporta una suggestiva testimonianza autobiografica di Beatrice, dalla quale si apprende:

«avevo ventidu’ anni che Dio mi diede il primo figliolo. Felice come me non c’era altre; la più gran disgrazia la dovetti subire quando mi son veduta morire quel figliolo: morì il giorno della Candelora, sarà diec’anni. Non mi pare d’aver più a morire come quel giorno […]. La prima ottava la diedi al marito nel giorno di sposarlo. Da ragazza cantavo de’ strambotti e rispetti, andando a far l’erba, raccattando le spighe, ma non sapevo fare da me: non c’ebbi mai pensato. […] Io ebbi otto de’ figlioli, n’allevai dieci […]. Dovetti andare per balia due volte, dappertutto mi facevano cantare: vivevo in gran contentezza: chi si contenta gode. Il canto è stata ognora la mia fortuna».

Beatrice continua a pascolare le pecore anche dopo il matrimonio e, “per ben due volte – ci informa Carla Schubert – stando alla macchia […] le toccò di mettere alla luce un figliuolo senza i conforti necessari”. Dal contributo di questa autrice trascriviamo un’ottava improvvisata da Beatrice, tra quelle a suo tempo “catturate” dalla sua viva voce dall’appassionato commerciante-collezionista pratese Filippo Rossi-Cassigoli:

Se tu sapessi la vita ch’io faccio,

Non la farebbe il Turco alla catena.

E ’l Turco porta la catena al braccio

E io la porto al cor per maggior pena.

E ’l Turco porta la catena al collo,

E io la porto al cor, ch’è maggior doglio.

E ’l Turco porta la catena al piede,

E io la porto al cor che niun la vede.

L’abate Tigri ne ricorda le improvvisazioni a tema risorgimentale, stimolata dai giovani di Cutigliano, che, nel 1848, le spiegavano “la storia dei fatti”; lei, dopo averla “udita, in mezzo ad un cerchio di que’ suoi paesani, si dava a cantare bellissime ottave”.

Durante i contrasti con gli avversari, corrispondeva con grazia, ma a volte anche con durezza                                                                                oppure con sprezzante ironia. Alfonso Pisaneschi, canonico di Cireglio, così ricorda una “spietata” ottava di risposta che Beatrice  indirizza al conterraneo Francesco Chierroni, poeta non eccelso, che stravede per lei dedicandogli un poemetto, ma che, di fatto, “soccombe” sistematicamente ai versi della “pastora”:

 

Degno saresti di andare in Maremma

In delle macchie dove fan li cerri,

Dove li porci fanno la rassegna,

Andar con quelli che si chiaman verri,

Ti manca calamaro carta e penna.

Sento che nel cantar molto spess’erri;

Ben io ti piglio per un cigno stanco,

porgi le orecchie lunghe e ’l petto bianco.

Persino la distruzione della sua casa, nel 1863, ad opera delle acque tumultuose del Sestaione e della Lima, si traduce in spunto poetico in una sua fase esistenziale molto difficile. Il Giuliani riporta una toccante ottava che Beatrice allora improvvisa:

 

E quando la mia casa venne a rovinare,

Mi scaturiva il sangue d’ogni vena;

’Na creatura aveva a nutricare.

Mancò la forza a me, mancò la lena:

e non aveo i piè per camminare;

La poesia allor perse la vena.

Nel momento di quel terribil danno

Io mi restai sommersa in grand’affanno.

Una straordinaria figura di gentildonna statunitense innamorata della Toscana, Francesca Alexander, è in costante rapporto con la poetessa. Una sua biografia di Beatrice, pubblicata in Inghilterra nel 1885, conosce una prima edizione italiana (e in estratto…) soltanto nel 1976. Da quest’ultima trascriviamo il  “ritratto” della nostra improvvisatrice:

«Beatrice era solita portare l’abito alla vecchia maniera contadina nel quale l’ho ritratta: corsetto scarlatto, fazzoletto celeste, collana a grani e orecchini d’oro, le lunghe maniche di lino erano increspate al polso; quando lavorava soleva spingerla sopra i gomiti […]. Nelle grandi occasioni metteva un velo bianco ricamato, fazzoletto e grembiale, tutte cose che aveva indosso il giorno che si sposò. Nessuna immagine può dare un’idea della sua bellezza, perché è impossibile raffigurare la luce nei suoi occhi che sembrava venire di dentro e non di fuori».

La stima che Beatrice riscuote in ambiti popolari è felicemente esemplificata nel ricordo di Francesca Alexander, che accompagna l’amica all’Abetone ad assistere alla Giostra di San Pellegrino, una rappresentazione in molte altre località definita Maggio drammatico:

«mentre attraversava la folla sulla via di casa, un uomo le venne incontro con un bicchiere di vino e, chinandosi rispettosamente, disse: “Voglio che il più grande poeta della nostra montagna beva dalla mia mano”. Senza parlare, lei si fermò e bevve dal bicchiere che lui stringeva, toccandolo solo con le labbra. La grazia con la quale ambedue passarono per questa cerimonia è rimasta sempre nella mia mente».

Beatrice conclude la sua lunga vita, dura e laboriosa, il 25 maggio 1885.

Bibliografia

  1. Alexander, Storia del popolo. Volume primo. Beatrice di Pian degli Ontani, “Quaderni d’Ontignano”, Fiesole, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1976 (estratto da Roadside songs of Tuscany, J. Ruskin, Orpington [Gran Bretagna], 1885); S. Bartolini, 20 ottave d’amore: inedite. Beatrice di Pian degli Ontani, scelte e illustrate in occasione delle nozze della figlia Simonetta con Alberto Bianchi, Il Torchio, Firenze, 1985; P. Bellucci, Poetessa pastora. La storia e i canti di Beatrice di Pian degli Ontani scoperta dal Tommaseo e amata dal Ruskin, Medicea, Firenze, 1986; G.P. Borghi, Beatrice e le altre: improvvisazione e canto itinerante al femminile tra Otto e Novecento, in Homo Appenninicus. Donne e uomini delle montagne.Atti delle giornate di studio (2007), a cura di R. Zagnoni, Gruppo di Studi alta Valle del Reno (Porretta Terme, Bologna)-Società Pistoiese di Storia Patria, Porretta Terme, 2009; Id.,Beatrice di Pian degli Ontani. La poetessa pastora in www.enciclopediadelledonne.it (ad vocem); Id.,“Poesia popolare” e folkloriste tra Emilia e Toscana, in At  vói cuntèr na  fóla. Carolina Coronedi Berti e la cultura del suo tempo, a cura di A. Battistini, Clueb, Bologna, 2013; A. Chiappelli, Una pastora poetessa. Beatrice di Pian degli Ontani, Seeber, Firenze, 1902; F. Chierroni, Vita della gran poetessa Beatrice, a cura di J.P. Cavaillé e A. Bencistà, Semper, Firenze, 2011; P. Ciampi, Beatrice. Il canto dell’Appennino che conquistò la capitale, Samus, Firenze, 2008; Giambattista Giuliani, Sul vivente linguaggio della Toscana. Lettere, Ricci, Firenze, 1879; A. Pisaneschi, Su i monti pistoiesi, Cappelli, Rocca San Casciano, 1914; C. Rosati, Beatrice Bugelli di Pian degli Ontani. Poetessa, Pastora, Brigata del Leoncino, Pistoia, 2001; C. Schubert, La pastorella poetessa. Beatrice di Pian degli Ontani, in “L’Illustrazione Italiana”, Treves, Milano: 31, 32 e 34 (1888); G. Tigri, Canti popolari toscani,  Barbera, Firenze, 1869 (3ª edizione);N. Tommaseo, Gita nel Pistojese, in “Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti”, Vieusseux, Firenze, vol. XLVIII, Ottavo del secondo decennio, Ottobre-Novembre-Dicembre 1832.

Gian Paolo Borghi